Da 1.000 morti l’anno negli anni ’90 a problema secondario, che non costituisce neanche più un rischio per la salute pubblica. I massimi esperti hanno dato l’annuncio; l’epidemia di Aids in Australia è finita. “Abbiamo ora accesso a un trattamento che ha avuto effetti straordinari, mentre l’attivismo nella comunità gay, sin dai primissimi anni dell’Aids negli anni 1980 e 1990, ha contribuito sostanzialmente a combatterlo”, ha detto il direttore dell’Afao, la federazione delle organizzazioni anti Aids australiane, Darryl O’Donnell. L’Australia si aggiunge così ai pochissimi paesi che sono riusciti nell’intento.
I farmaci anti-retrovirali sono stati cruciali nel declino dell’epidemia, permettendo alle persone diagnosticate con Hiv una vita sana e lunga, ha aggiunto. “L’Australia ha raggiunto l’obiettivo indicato dall’Unaid, l’agenzia Onu contro l’Aids, nei ‘development goals’ per il 2030, cioè diagnosticare almeno il 90% dei sieropositivi, mettere almeno il 90% di questi in cura ed avere quindi un 90% di pazienti in cui il virus è soppresso, che quindi non sono contagiosi – spiega Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità – Loro ci sono riusciti anche perché avevano un numero di sieropositivi piuttosto basso, ma soprattutto hanno spinto molto sul ‘testing’, e una volta individuati gli infetti li hanno messi subito sotto trattamento grazie al fatto che il loro sistema sanitario è universalistico come il nostro. Sono pochissimi i paesi che ci sono riusciti, quasi tutti piccoli e nel nord Europa, come la Danimarca”.
Per l’Italia l’obiettivo non è ancora raggiunto, spiega Vella. “Noi siamo messi bene sul lato delle cure, che sono garantite, mentre ad esempio gli Usa fanno molti test ma poi c’è chi non può permettersi le terapie – sottolinea – ma abbiamo ancora un 30% stimato di persone infette che non sanno di avere il virus. Ci manca l”ultimo miglio’, dobbiamo facilitare i test, e fare informazione per far capire che l’Aids è una malattia che c’è ancora, ma si può curare”. Gli obiettivi dell’Unaid, ricorda Vella, dovrebbero valere per tutto il mondo, dove invece ancora muoiono 1,2 milioni di persone l’anno per la malattia. “Il loro raggiungimento – sottolinea l’esperto, che è anche uno dei curatori delle linee guida dell’Oms sull’Aids – permetterebbe non di eradicare il virus, cosa molto difficile finché non ci sarà un vaccino, ma di tenere sotto controllo l’epidemia, una cosa altrettanto importante”.