Negli ultimi decenni, i miglioramenti nel campo della medicina, dell’igiene, della nutrizione e delle condizioni socioeconomiche hanno giocato un ruolo determinante nell’aumento dell’aspettativa di vita. Negli anni ’50, l’aspettativa di vita era attorno ai 64 anni nei paesi sviluppati, mentre oggi supera in molti casi gli 84 anni. Questo aumento di circa 20 anni riflette anche la riduzione della mortalità infantile, il progresso delle cure, e la diffusione di stili di vita più sani.
Tuttavia, il risvolto della medaglia di questo progresso tecnologico, è che all’aumento dell’aspettativa di vita media corrisponde un aumento dell’incidenza media di malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento: su tutte il Morbo di Parkinson.
Il Parkinson è la malattia neurodegenerativa più diffusa al mondo dopo la malattia di Alzheimer. Si tratta di una malattia cronica a carattere progressivo in cui si verifica una degenerazione dei neuroni dopaminergici della substantia nigra residenti nel tronco encefalico. Uno dei disturbi che più caratterizzano la malattia sono i cosiddetti “disordini del movimento”.
Finora, nessun farmaco è riuscito a invertire o arrestare il decorso della malattia e la mancanza di biomarcatori diagnostici adeguati rappresenta una delle principali sfide nello sviluppo di terapie per il trattamento del Parkinson. La diagnosi viene generalmente effettuata in base ai sintomi clinici, per lo più legati alle funzioni motorie come tremore e rigidità. Tuttavia, i sintomi motori si manifestano spesso molti anni dopo l’inizio della malattia, portando così a una diagnosi tardiva. Di conseguenza, c’è una forte necessità di sviluppare nuovi biomarcatori diagnostici, in particolare quelli in grado di rilevare la malattia nelle sue fasi iniziali.
Così un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Medicine, uno studio in cui è stato creato un modello di intelligenza artificiale (IA) per identificare la malattia di Parkinson e seguirne lo sviluppo utilizzando i modelli di respirazione notturna. Il modello è stato testato su un enorme set di dati di 7.671 persone. Sui diversi set di dati, il modello di IA è riuscito a identificare il morbo di Parkinson con un’accuratezza di circa il 90%, nonché riuscire a valutarne la gravità e la progressione nel tempo.
Per validare in maniera consistente i loro modello di IA, i ricercatori hanno utilizzato tre diversi dataset provenienti da centri medici e studi pubblici negli Stati Uniti per ottenere un campione diversificato, con l’obiettivo di migliorare la generalizzabilità e l’accuratezza del modello. I dati comprendevano circa 120.000 ore di segnali di respirazione notturna provenienti da 757 soggetti con Parkinson e 6.914 soggetti di controllo. I dataset sono stati divisi in due gruppi: i dati raccolti con una cintura respiratoria e i dati senza contatto, ottenuti con un dispositivo wireless che tracciava la respirazione riflessa dal corpo durante la notte. I dati della cintura raccoglievano brevi osservazioni (una o due notti per individuo), mentre quelli del dispositivo wireless fornivano dati più ampi (fino a un anno), utili per il monitoraggio della progressione.
Utilizzando segnali di una sola notte, il modello ha dimostrato una capacità diagnostica elevata, con una accuratezza dell’88% per i dati provenienti dalla cintura e del 90% per quelli wireless. Considerando invece dati di 12 notti per ciascun soggetto, la precisione aumentava raggiungendo il 100% per il campione testato dimostrando la stabilità delle sue previsioni. Successivamente gli studiosi, per confermare l’adattabilità del modello, hanno testato i dati di un terzo dataset esterno e mai utilizzato nell’addestramento. Lo scopo di tale test era valutare se il loro modello riuscisse a riprodurre la stessa tipologia di risultati e con la stessa potenza statistica. Il modello è riuscito a mantenere una buona accuratezza, con una percentuale dell’85%, dimostrando la robustezza del modello a protocolli e popolazioni diverse.
Successivamente è stato testato per stimare la gravità della malattia di Parkinson, correlando le previsioni con il Movement Disorder Society Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (MDS-UPDRS), ovvero una scala standardizzata utilizzata per valutare la gravità del morbo di Parkinson, misurando diversi aspetti del funzionamento fisico e cognitivo del paziente. I risultati sono stati sorprendenti poiché ha ottenuto una correlazione significativa, mostrando anche una buona correlazione con ciascuna delle quattro categorie (I: Stato mentale, comportamento e umore, II: attività quotidiane; III: capacità motorie, IV: complicazioni della malattia) del MDS-UPDRS, indicando che il modello riesce a cogliere sia i sintomi motori sia quelli non motori del PD.
Lo studio ha in aggiunto scoperto dall’analisi dell’attività respiratoria dei pazienti parkinsoniani e dei soggetti controllo, che i pazienti con Parkinson mostravano segnali respiratori e di elettroencefalografia quantitativa (qEEG) chiaramente distinti. Nei pazienti, i pattern respiratori sono più irregolari e soggetti a frammentazioni, con episodi di apnea e riduzione della variabilità del ritmo respiratorio, diversamente dai soggetti di controllo che mantenevano una respirazione più regolare durante il sonno.
Questo approccio innovativo, sottolineano gli studiosi, offre una diagnosi oggettiva, non invasiva e accessibile da casa, fattori questi, che potrebbero migliorare notevolmente la qualità della gestione della malattia di Parkinson e facilitare l’accesso alla cura per pazienti. Inoltre, il modello IA ha il potenziale di ridurre il tempo e i costi per i trial clinici, velocizzando lo sviluppo di nuovi trattamenti.
Tuttavia, gli autori riconoscono alcune limitazioni, inclusa la limitata diversità nei campioni di popolazione e l’assenza di un’analisi differenziata tra i sottotipi di Parkinson. Inoltre, la validazione del modello per la diagnosi precoce e per il monitoraggio della progressione del Parkinson è stata condotta su un numero limitato di partecipanti, e il modello non è stato testato per distinguere il Parkinson da un più ampio spettro di patologie neurologiche.
di Valentino Ribecco
Source: Nature Medicine