L’Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN) è una rara patologia genetica acquisita a decorso cronico caratterizzata da anemia emolitica, insufficienza midollare e trombosi. L’insorgenza è dovuta a una disregolazione cronica del sistema del complemento con conseguenti fenomeni di emolisi intravascolare. Questo comporta un significativo aumento di mortalità, rischio di danni ad organi viscerali, riduzione della qualità della vita.
Sintomatologia, incidenza, eziologia e diagnosi dell’EPN
“L’EPN è una malattia rara, con un’incidenza di circa un caso per milione di abitanti ogni anno, colpisce allo stesso modo uomini e donne. L’età media di insorgenza è intorno ai trent’anni”, afferma la dott.ssa Anna Paola Iori, Dirigente presso l’AOU Policlinico Umberto I Università Sapienza Roma e Direttore del Programma Trapianti di cellule staminali emopoietiche.
“La malattia è causata da una mutazione somatica acquisita di un gene localizzato sul cromosoma X, che codifica per una proteina Glycosyl-Phosphatidyl-Inositol (GPI), necessaria per “l’ancoraggio” di alcune proteine presenti sulla superficie cellulare”, precisa la dott.ssa Anna Paola Iori.
Questa specifica mutazione chiamata PIG-A, colpisce le cellule staminali ematopoietiche, dando origine a un’alterazione che comporta la mancanza di determinate proteine di superficie GPI-anchored. In particolare, i globuli rossi derivati da queste cellule staminali alterate, saranno totalmente privi o carenti di due proteine: CD59 e CD55. La mancanza di queste proteine rende i globuli rossi vulnerabili alla lisi da parte del complemento.
Il quadro clinico dell’EPN è estremamente variabile in termine di sintomi e decorso della malattia. Gli individui affetti possono manifestare episodi di crisi emolitiche (caratterizzate da anemia, reticolocitosi, aumento dei livelli di LDH), una riduzione dell’aptoglobina, (sideropenia) e a causa dell’emoglobinuria le urine diventano “scure”.
La condizione si può associare a trombocitopenia, leucopenia, e trombosi arteriosa e venosa. Tuttavia, nella maggior parte dei casi l’EPN si manifesta con i sintomi dell’anemia: pallore, affaticamento, dispnea e palpitazioni. In aggiunta si possono riscontrare anche dolori addominali, disfagia e disfunzione erettile.
Inoltre, l’emolisi intravascolare attiva la coagulazione con meccanismi ancora non perfettamente noti, aumentando le trombosi. A seconda della localizzazione delle trombosi, che interessano il 30-40% dei pazienti, possono emergere dolori addominali, epatomegalia, a volte ascite per trombosi portale o sindrome di Budd Chiari; in alcuni casi le trombosi si possono manifestare con cefalea per occlusione dei vasi cerebrali.
Le diverse presentazioni cliniche rendono l’EPN difficile da diagnosticare. È di fondamentale importanza condurre un’attenta anamnesi sul colore delle urine e valutare determinati esami ematochimici: anemia con reticolociti aumentati, aumento dell’LDH, elevata bilirubina indiretta, ridotta aptoglobina. Se si esclude una causa immunoematologica dell’emolisi, è necessario considerare l’EPN come una possibile diagnosi, soprattutto se sono presenti, al momento o in anamnesi, eventi trombotici e citopenia nel sangue periferico.
Il test diagnostico principale e definitivo è la citometria a flusso, che consente di evidenziare il deficit delle proteine GPI anchored sulla superficie dei globuli rossi, ma soprattutto dei globuli bianchi (neutrofili e monociti).
I trattamenti disponibili e qualità della vita dei pazienti con EPN
Il trattamento dell’EPN si basa sull’uso di farmaci inibitori del complemento, nello specifico anticorpi monoclonali che impediscono il processo di distruzione cellulare mediato dal complemento.
Tra questi, eculizumab rappresenta il trattamento di elezione: l’utilizzo è associato a una riduzione del rischio di tromboembolismo e della necessità di trasfusioni, portando a un significativo miglioramento dei sintomi e della qualità della vita nei pazienti. Di recente sono state introdotte nuove alternative terapeutiche da somministrare successivamente ad eculizumab quali ravulizumab e pegcetacoplan, anch’essi inibitori del complemento.
“I pazienti con EPN avranno necessità di trattamento cronico per tutta la vita”, nota Esther Oliva, Dirigente Medico presso il Grande Ospedale Metropolitano Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria e Vice Presidente del Scientific Working Group dell’Associazione Europea di Ematologia (EHA) per la qualità della vita e sintomi.
“Rispetto alla popolazione generale i pazienti hanno una qualità di vita peggiore in tutte le sue dimensioni, sia per la necessità di effettuare un trattamento a vita, sia per gli eventi intermittenti di emolisi acuta e per l’aumento di un rischio infettivo associato al trattamento”. Per questo, secondo la dott.ssa Esther Oliva,“sarebbe desiderabile un trattamento che tenga i pazienti lontani dall’ospedale quindi somministrabile a domicilio, tollerabile in termini di effetti collaterali e che abbia un buon controllo dell’emolisi con miglioramento dei sintomi quali la fatigue e i disturbi cognitivi”
L’EPN è una patologia cronica e ad oggi non esistono trattamenti curativi se non il trapianto allogenico di midollo osseo, procedura ad alto rischio di complicanze e limitata a pazienti più giovani.
L’impegno di Amgen
Amgen, leader mondiale nelle biotecnologie farmaceutiche, è impegnata da sempre nella ricerca e sviluppo di terapie nel campo dell’ematologia e, di recente, è presente anche nell’emoglobinuria parossistica notturna. “L’ematologia rappresenta una delle aree terapeutiche principali della nostra ricerca e sviluppo, in cui abbiamo consolidato nel tempo maggiori competenze ed esperienze: in questo campo siamo davvero in grado di ‘fare la differenza’ per i pazienti e per la comunità scientifica”, spiega la dott.ssa Maria Luce Vegna, Executive Medical Director Italy presso Amgen.
Da sempre l’impegno dell’azienda è rivolto a far sì che i risultati della propria ricerca siano accessibili a chi ne ha bisogno, salvaguardando, al contempo, la stabilità finanziaria dei sistemi sanitari. Da qui nasce l’impegno crescente di Amgen nell’area dei biosimilari, farmaci simili per meccanismo d’azione, efficacia e sicurezza, ai biotecnologici già autorizzati per l’uso clinico. “Questi farmaci assicurano l’accesso a trattamenti essenziali per la salute a un numero sempre maggiore di pazienti a costi sostenibili per i sistemi sanitari, che possono così liberare risorse per continuare ad investire con più forza nell’innovazione”, continua la dott.ssa Vegna. “Con la nostra lunga esperienza nelle biotecnologie, siamo in grado di assicurare farmaci biosimilari con gli stessi standard qualitativi che hanno i farmaci biotecnologici innovativi: i nostri programmi di sviluppo clinico, coerentemente con il nostro approccio rigoroso, sono finalizzati a generare dati solidi che dimostrano la reale sovrapposizione dei farmaci biosimilari con l’originator”.
Caratteristiche dei farmaci biosimilari
I biosimilari sono sviluppati per essere estremamente simili per qualità, efficacia e sicurezza ai farmaci biologici riferimento, definiti anche “originator”, in quanto già approvati nell’UE e non più soggetti a copertura brevettuale. Differiscono dai farmaci generici di sintesi chimica per molti aspetti, come ad esempio, la complessità strutturale, la dimensione molecolare e i processi di produzione, che avvengo in organismi viventi.
Come spiega Simona Sica, Direttrice dell’Unità Operativa Complessa di Ematologia e Trapianto di cellule staminali emopoietiche – Fondazione Policlinico Universitatio Agostino Gemelli IRCCS, “i biosimilari sono prodotti a partire da un farmaco comparatore, “l’originator”, il biologico di riferimento che è già disponibile in commercio. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), ha definito con precisione quali debbano essere le caratteristiche di un biosimilare e le tappe per il suo sviluppo”.
È estremamente importante controllare e monitorare attentamente tutte le fasi del processo produttivo per fare in modo che il biosimilare non presenti alcuna differenza clinica significativa rispetto al prodotto di riferimento, l’originator. “Un biosimilare deve essere estremamente simile al medicinale di riferimento”, osserva Simona Sica, “e la regolamentazione prevede che la variabilità tra i diversi lotti di farmaco biosimilare sia molto ridotta”.
Lo sviluppo del biosimilare si basa sull’esercizio di comparabilità, una procedura di confronto graduale con il medicinale di riferimento. Ad ogni fase dell’esercizio di comparabilità, viene annullato il rischio residuo di differenze con l’originator, fino ad arrivare allo studio di comparabilità clinica di Fase III.
Sostenibilità per il Sistema Sanitario
“Sebbene il farmaco biosimilare sia comparabile in termini di efficacia e sicurezza al farmaco originatore, il biosimilare offre un evidente vantaggio in termini di costi”, afferma il dott. Davide Rapezzi, Dirigente medico presso la Struttura Complessa di Ematologia dell’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo. “Questo porta a un minore impatto sul Sistema Sanitario e il risparmio ottenuto permette di investire nei farmaci innovativi, innescando così un circolo virtuoso”.
Analogamente ai farmaci generici, il prezzo inferiore del biosimilare non implica in alcun modo un’inferiorità in termini di efficacia, sicurezza e qualità rispetto al farmaco biologico di riferimento.
I medicinali biosimilari costituiscono un’opzione terapeutica a costo inferiore per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), offrendo significativi vantaggi nella possibilità di trattare un maggior numero di pazienti e nell’accesso a terapie con elevato impatto economico.