Una nuova tecnica innovativa che consente di migliorare l’efficacia dei trapianti di cellule staminali da donatore nei bambini colpiti da malattie ematologiche maligne come la leucemia ma anche da altre patologie benigne gravi come la talassemia o alcuni tipi di anemia. A metterla a punto sono stati i ricercatori coordinati da Mattia Algeri, 33 anni, onco-ematologo pediatra all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.
I risultati di questo studio internazionale sono stati presentati in occasione del Congresso dell’Associazione europea di ematologia (Eha) a Madrid, studio questo selezionato tra i sei migliori lavori pervenuti e che si è aggiudicato anche una particolare menzione dall’Eha. “Lo studio – spiega Algeri – ha coinvolto 98 pazienti in Usa ed Europa con un’età media tra 4 e 8 anni; il paziente più piccolo ha 3 mesi e il più grande 18 anni”.
Si tratta di un passo avanti significativo, e le ragioni sono semplici: “Fino a pochi anni fa – chiarisce l’esperto – il trapianto di staminali in questi bambini era possibile solo a patto che il donatore fosse compatibile. Successivamente è arrivato il trapianto da donatore parzialmente compatibile, ovvero i genitori, nel quale si trapiantano solo le staminali eliminando i linfociti non compatibili. Con tale tecnica, però, è alto il rischio che il bambino sviluppi uno stato di immunodeficienza con il pericolo di contrarre infezioni serie”.
Da qui la svolta resa possibile con la metodica del ‘gene suicida’: “Il nostro approccio – precisa Algeri – prevede una selezione dei linfociti dal donatore prima che avvenga il trapianto; i linfociti prelevati vengono quindi geneticamente modificati con un gene definito ‘suicida’. Si tratta del gene della caspasi 9, che permette di ‘spegnere’ i linfociti nel momento in cui dovessero determinare reazioni avverse nel paziente trapiantato”. A questo punto, i linfociti modificati vengono infusi nei piccoli pazienti a distanza di due settimane dal trapianto di staminali; “Se nel tempo provocano reazioni negative, ai pazienti viene somministrata una particolare e nuova molecola, rimiducid, che spinge i linfociti dotati del gene ‘suicida’ all’autoeliminazione”.
Questo metodo, prosegue l’esperto, “ha l’obiettivo di accelerare la ricostituzione della risposta immunologica nei piccoli pazienti dopo il trapianto, ma rende possibile ‘spegnere’ i linfociti in caso di danni. Così il bambino non ha una reazione avversa al trapianto, e avendo già innescato la produzione di propri linfociti non resta scoperto”.
Più che positivi i risultati dello studio: “A 6 mesi di follow-up, la mortalità per cause legate al trapianto è stata pari a zero nei 61 pazienti europei e pari al 5% sul totale di 98 pazienti”. Un metodo innovativo, e per questo premiato dal congresso degli ematologi europei, che “migliora la sicurezza e l’efficacia dei trapianti di staminali per i pazienti pediatrici. Ora – afferma Algeri – l’obiettivo è verificare l’efficacia dei linfociti modificati anche nel prevenire le ricadute da leucemia”. Particolarmente soddisfatto il ricercatore, da 2 anni al Bambino Gesù e contento di lavorare in Italia: “E’ un riconoscimento anche alla ricerca italiana e, soprattutto – conclude – una buona notizia per i pazienti”.