“Le aziende che non premiano o non riconoscono il lavoro dei dipendenti, che impongono richieste irragionevoli ai lavoratori e non consentono loro di essere autonomi espongono il personale ad un aumentato rischio di soffrire di depressione”. Così la ricercatrice Amy Zadow sintetizza i risultati di uno studio condotto sulla popolazione australiana e pubblicato dalla rivista British Medical Journal.
La ricerca è stata condotta dall’Osservatorio sul clima per la sicurezza psicosociale di UniSA, la prima piattaforma di ricerca al mondo che esplora la salute e la sicurezza psicologica sul posto di lavoro.
Clima di sicurezza psicosociale è il termine utilizzato per descrivere le pratiche di gestione e i sistemi di comunicazione e partecipazione che tutelano la salute mentale e la sicurezza dei lavoratori. Zadow, afferma che la cattiva salute mentale sul posto di lavoro può essere ricondotta a pratiche, priorità e valori di gestione inadeguati, che poi si traducono in elevate esigenze di lavoro e scarse risorse.
I ricercatori hanno valutato l’associazione tra lunghi orari di lavoro, clima di sicurezza psicosociale, impegno lavorativo e nuovi sintomi di depressione maggiore emersi nei 12 mesi successivi. Hanno coinvolto 1.084 lavoratori, scoprendo che un clima di sicurezza psicosociale negativo è correlato ad un aumento di tre volte del rischio di sviluppare depressione maggiore, in particolare tra gli uomini. Anche lunghi orari di lavoro (dalle 41 alle 48 ore a settimane o 55 o più ore la settimana) erano correlati a un aumentato rischio di depressione.
La depressione colpisce circa 300 milioni di persone in tutto il mondo e la sua prevalenza non diminuisce nonostante i trattamenti disponibili, viene quindi prestata maggiore attenzione agli ambienti di lavoro mal funzionanti che potrebbero contribuire al problema.
Bibliografia:
Zadow AJ, Dollard MF, Dormann C, Landsbergis P. Predicting new major depression symptoms from long working hours, psychosocial safety climate and work engagement: a population-based cohort study. BMJ Open. 2021 Jun 23;11(6):e044133. doi: 10.1136/bmjopen-2020-044133