I farmaci a base di litio sono considerati il gold standard per il trattamento del disturbo bipolare (DB), purtroppo però, quasi il 70% delle persone con DB non risponde a questa terapia. I ricercatori del laboratorio di genetica del Salk Institute for Biological Studies hanno scoperto che la ridotta attivazione di un gene, LEF1, interrompe la normale funzione neuronale e promuove l’ipereccitabilità nelle cellule cerebrali caratteristica del disturbo bipolare.
Grazie al lavoro, pubblicato sulla rivista Molecular Psychiatry, è stato quindi identificato un nuovo potenziale target farmacologico per il DB e un biomarcatore per la non reattività del litio.
“Solo un terzo dei pazienti affetti da disturbo bipolare risponde al litio con scomparsa dei sintomi”, spiega Renata Santos, prima autrice dello studio. Nel cercare di scoprire le basi biologiche di tale resistenza, i ricercatori hanno osservato che LEF1 era carente nei neuroni dei pazienti che non rispondevano al trattamento.
Degli esperimenti condotti in passato dallo stesso team di ricerca avevano mostrato che i neuroni delle persone con disturbo bipolare sono più grandi, si attivano in modo diverso (sono più facilmente stimolati o ipereccitabili) e sono caratterizzati da un maggiore flusso di potassio.
Per questo studio gli scienziati hanno analizzato le cellule di pazienti che rispondono ai farmaci a base di litio (responder), pazienti resistenti alla terapia e persone non affette da disturbo bipolare.Dallo studio dei neuroni è emerso che le variazioni dei livelli di LEF1 sono la caratteristica che distingue maggiormente i responder dai non responder.
LEF1 svolge un ruolo fisiologico decisivo nella funzione neuronale: lega la beta-catenina e attiva altri geni che regolano il livello di attività nel neurone. Nei neuroni derivati da pazienti che rispondono alla terapia o da soggetti sani, il litio
consente alla beta-catenina di accoppiarsi con LEF1. Nei non responder, invece, il litio è inefficace perché i livelli di LEF1 sono troppo bassi perché si verifichi il legame tra le proteine, quindi non c’è regolazione dell’attività cellulare.
La somministrazione di acido valproico, un trattamento spesso utilizzato per i non responder, ha provocato un aumento dei livelli di LEF1 e l’attivazione di altri geni rilevanti. Questi risultati indicano il ruolo critico che LEF1 svolge nel controllo dell’ipereccitabilità neuronale. “Pensiamo quindi che LEF1 possa essere un possibile bersaglio per la terapia farmacologica”, conclude Shani Stern, co-primo autore dello studio.
La misurazione dell’attività di LEF1 può anche diventare un test per valutare la reattività del paziente ai farmaci a base di litio. Attualmente, i medici possono determinare se un paziente risponde al litio solo somministrando un ciclo completo di trattamento, cosa che può richiedere un anno.