Un uomo d’affari californiano, di comune accordo con una comunità di nativi canadesi, ha scaricato più di 100 tonnellate di solfato di ferro nel Pacifico, a parecchi chilometri di distanza dalla costa. Il ferro però ha determinato una fioritura del plancton. In apparenza, non è stato richiesto alcun tipo di permesso, violando quindi le convenzioni delle Nazioni Unite, e portando ad un’ampia condanna per aver condotto un progetto geoingegneristico così ampio alterando l’ambiente a proprio piacimento.
Essenziale per il plancton
Il ferro determina un’efflorescenza di plancton in quanto è necessario alle piccole cellule vegetali per vivere, e di solito è presente in superficie solo in piccole quantità. I luoghi con forti correnti ascensionali, come le aree al largo della costa ovest degli USA, presentano spesso livelli di ferro più elevati portati dalle profondità dell’oceano, e per questo motivo abbondano in plancton e vita marina. L’idea dell’imprenditore era di creare quest’efflorescenza sia per assorbire il diossido di carbonio che per alimentare le riserve di salmone locali. Le microscopiche cellule vegetali, dopo aver catturato il diossido di carbonio durante la crescita, affondano nell’oceano e muoiono, rimuovendo così il gas dall’atmosfera.
Un piano riuscito meglio del previsto?
Il piano potrebbe aver funzionato meglio del previsto, dato che secondo un recente studio le riserve di salmone locali sono raddoppiate dal 2010, anche se le motivazioni potrebbero anche essere state diverse. Alcuni esperti temono che questi esperimenti di geoingegneria, pur validi, possano distrarre da metodi maggiormente comprovati per ottenere gli stessi risultati, agendo sui letti dei fiumi più che sugli oceani. In alcune occasioni, peraltro, è stato dimostrato che la presenza del ferro non ha portato ai risultati desiderati, come durante l’eruzione di un vulcano islandese nel 2010 che ha portato ad un forte incremento nella concentrazione di plancton seguita da una sua rapida morte per esaurimento delle riserve di azoto.
(Plankton Res 2014; 36 (4): 925-32)