Il 4 gennaio il British Medical Journal ha pubblicato un articolo di Peter Doshi, associate editor del BMJ in cui l’autore esprime dei dubbi sull’effettiva efficacia dei vaccini approvati in Europa contro il Covid-19: Comirnaty di BioNTech/Pfizer e mRNA-1273 di Moderna.
In questa intervista a Popular Science Marco Cavaleri, responsabile dei vaccini per lʼAgenzia europea per i medicinali (EMA), risponde agli interrogativi sollevati da Doshi e fornisce qualche primo dato rassicurante sui 23 decessi in Norvegia avvenuti in seguito alla somministrazione del vaccino.
Il primo punto sollevato da Peter Doshi nel suo blog riguarda i casi di “sospetto Covid-19” che non sono stati analizzati negli studi sui due vaccini. Sono 1.594 nel gruppo vaccino contro 1.816 nel gruppo placebo. Perché questi casi non sono stati presi in considerazione nell’analisi? Secondo l’autore includendo questi casi sospetti, l’efficacia dei vaccini scenderebbe al 29%…
Lo studio clinico di Comirnaty era disegnato in modo tale da prevedere una visita medica di controllo per malattia da Covid-19 se un partecipante manifestava uno dei sintomi scatenanti che potevano indicare l’infezione in atto. Nel controllo era compreso anche un esame per la conferma dell’infezione causata da Sars-CoV-2 mediante tampone orofaringeo effettuato dal laboratorio di riferimento dello studio. Dal momento che questo vaccino è stato progettato specificamente per prevenire la malattia causata da Sars-CoV-2 e non da altri virus respiratori, è intuitivo che i sintomi causati da virus respiratori diversi non possano essere considerati per stimare l’efficacia di questo vaccino. L’autore stesso ammette questa semplice verità.
Tra tutti i partecipanti allo studio, 3.410 hanno avuto sintomi di malattie respiratorie: 1.594 nel gruppo vaccino e 1.816 nel gruppo placebo. La maggior parte di questi è risultato negativo al test di laboratorio per il Sars-CoV2 (circa il 78% in ciascun gruppo) e non sarebbe ragionevole presumere che fossero falsi negativi, considerando le eccellenti prestazioni e le alte percentuali di accuratezza e sensibilità del test molecolare (PCR). I risultati della PCR non erano disponibili o sconosciuti per circa il 22% dei partecipanti in ciascun gruppo (342 nel gruppo vaccino, 400 nel gruppo placebo). Le ragioni per la mancata disponibilità dei risultati della PCR sono ben bilanciate tra i gruppi, eliminando qualsiasi potenziale distorsione dei dati dovuta alla frequenza dei tamponi mancanti tra i gruppi vaccino e placebo.
Il secondo punto riguarda i 371 individui esclusi dall’analisi di efficacia del vaccino Pfizer per “importanti deviazioni del protocollo entro o prima di 7 giorni dopo la dose 2”. Secondo Doshi è preoccupante la sproporzione degli esclusi tra i due gruppi: 311 dal gruppo del vaccino contro 60 del placebo. L’autore si chiede: quali erano queste deviazioni dal protocollo e perché c’erano cinque volte più partecipanti esclusi nel gruppo vaccino?
Il rapporto di valutazione descrive le ragioni che hanno portato a più esclusioni nel gruppo vaccino rispetto al gruppo placebo.
Sono due: in 105 partecipanti nel gruppo vaccino e 3 nel gruppo placebo si è verificato un “errore di dosaggio/somministrazione”, il soggetto quindi non ha ricevuto la dose corretta di vaccino”; in 144 partecipanti nel gruppo vaccino e 0 nel gruppo placebo il “prodotto sperimentale” è stato ritenuto “non idoneo all’uso”.
Esistono diverse spiegazioni possibili per questo squilibrio (tra gruppo vaccino e gruppo placebo). Prima di tutto la probabilità di un errore di dosaggio nel gruppo placebo era inferiore rispetto al vaccino, che richiedeva la diluizione; in secondo luogo è probabile che un errore nel dosaggio/somministrazione interessi in numero maggiore i partecipanti che hanno ricevuto BNT162b2 (Comirnaty) a causa delle differenze nelle condizioni di conservazione richieste (temperatura ambiente per il placebo rispetto all’ultrafreddo necessario per BNT162b2). Infine, le escursioni di temperatura non erano un problema per il placebo ma lo erano per BNT162b2.
L’autore si preoccupa poi dell’eventuale ruolo confondente di farmaci antidolorifici e antipiretici che sono stati assunti 3-4 volte più spesso dai soggetti che hanno ricevuto il vaccino (in particolare quello di Pfizer) rispetto al placebo. Questi farmaci possono aver mascherato i sintomi del Covid-19?
Come affermato dall’autore stesso, non vi è alcuna indicazione che la febbre e i farmaci antidolorifici possano aver confuso il risultato. L’uso di antipiretici nei 7 giorni successivi alla vaccinazione si è verificato in 996 partecipanti nel braccio di chi ha ricevuto il vaccino e 545 partecipanti nel braccio di chi ha ricevuto il placebo. La finestra per l’analisi primaria per l’efficacia del vaccino inizia da 7 giorni dopo la seconda dose, quando si prevede che uno squilibrio potenziale nell’uso non si possa più verificare.
Nonostante ciò Doshi aggiunge: “il più alto tasso di utilizzo di farmaci nel braccio del vaccino fornisce un ulteriore motivo per preoccuparsi dello smascheramento non ufficiale” (quindi il fatto che i partecipanti sapessero di aver ricevuto il vaccino o il placebo).
Il rischio di un possibile smascheramento rimane puramente speculativo. Qualsiasi cambiamento nel comportamento dei partecipanti allo studio, che potrebbe essere correlato alla presunta conoscenza di aver ricevuto il vaccino, data dal manifestarsi di reazioni avverse (a causa della reattogenicità), non sarebbe a favore del vaccino.
L’autore parla poi degli adjudication committees istituiti per valutare i casi di Covid-19. Perché erano necessari? Non bastavano l’esito della PCR o i sintomi riferiti dai pazienti? Doshi riporta che questo comitato era costituito da dipendenti Pfizer per il vaccino Pfizer…
Lo studio di fase 3 ha utilizzato un comitato di revisione interno (IRC), un comitato di monitoraggio dei dati (DMC) e un gruppo di revisori di casi interni. L’IRC è indipendente dal gruppo di studio e comprende solo membri interni. Il comitato di monitoraggio dei dati è indipendente dal gruppo di studio e comprende solo membri esterni.
Il gruppo dei revisori interni ha agito a sostegno del DMC per riesaminare tutti i casi di Covid-19 ma soprattutto di Covid grave e gli squilibri di tali casi tra i bracci dello studio allo scopo di identificare i sintomi di malattia respiratoria potenzialmente associata al vaccino (VAERD).
Secondo l’autore, mettere a disposizione tutti i dati “grezzi” per rispondere alle precedenti domande è fondamentale. Afferma però che bisognerà aspettare ancora due anni prima che tutti i dati siano resi pubblici.
I dati degli studi clinici presentati dalla società nella domanda di autorizzazione all’immissione in commercio saranno pubblicati sul sito web dell’EMA dedicato ai dati clinici a tempo debito, e ciò include i protocolli relativi ai dati pubblicati (https://clinicaldata.ema.europa.eu/web/cdp/home). Attualmente si prevede di pubblicare i dati clinici presentati dall’azienda a supporto dell’autorizzazione all’immissione in commercio di Comirnaty nel febbraio 2021.
L’EMA sta implementando misure eccezionali per massimizzare la trasparenza delle sue attività regolatorie su terapie e vaccini per Covid-19 in corso di valutazione o approvati.
Per concludere, cosa possiamo dire sui decessi degli anziani che in Norvegia si sono sottoposti al vaccino?
Stiamo investigando congiuntamente alle autorità regolatorie norvegesi per capire se i casi possano avere un’associazione con l’uso del vaccino. In Norvegia la mortalità in popolazione residente in RSA (residenze sanitarie assistenziali) è di circa 400 casi per settimana. Il numero di morti registrate in pazienti ultraottantenni non è superiore a quanto atteso in base a statistiche locali.