In 80 anni potrebbe scomparire il 23% dell’habitat naturale di mammiferi e uccelli a causa dei cambiamenti climatici e dell’aumentare delle aree dedicate all’agricoltura. A lanciare l’allarme è l’Università di Cambridge con uno studio pubblicato su Nature Communications.
I ricercatori, guidati da Andrea Manica, hanno analizzato i cambiamenti geografici di 16.919 specie dal 1700 a oggi, per poter fare previsioni sui cambiamenti possibili fino al 2100, sotto 16 diversi scenari climatici e socio-economici. “La dimensione dell’habitat di quasi tutti gli uccelli, mammiferi e anfibi conosciuti si sta restringendo, principalmente per la conversione del territorio per espandere le aree agricole e urbane”, sottolinea Robert Beyer, primo autore dello studio. Alcune specie animali sono più colpite di altre: il 16% ha già perso oltre la metà della propria estensione naturale storica, e si potrebbe arrivare al 26% entro la fine del secolo.
A rischio sono soprattutto le aree tropicali, dove l’estensione geografica delle specie si è ristretta recentemente in modo molto significativo. Se fino a 50 anni fa gran parte dello sviluppo agricolo era concentrato in Europa e Nord America, negli ultimi anni vaste aree tropicali sono state destinate all’agricoltura, spazzando via foreste pluviali per fare posto a piantagioni di olio di palma nel Sud-est asiatico e pascoli in Sud America.
“I tropici sono ‘zone calde’ della biodiversità, con moltissime specie che hanno una piccola estensione. Se un ettaro di foresta tropicale viene convertito ad uso agricolo, molte specie perderanno maggiori porzioni di habitat rispetto a quanto avviene in Europa”, continua Beyer. “Se questo andamento continuerà, accelererà o sarà fermato – aggiunge Manica – dipenderà dalle emissioni globali di carbonio e dalle scelte future che verranno fatte dalle nostre società”.