Tante le criticità, dal sistema di cure con accessi frammentati, diversi attori e differenti approcci, a una scarsa disponibilità di dati a livello epidemiologico ed economico, fino a ritardi tra prima diagnosi e inizio del trattamento farmacologico che possono portare a danni irreversibili alla vista dei pazienti con un deterioramento della autosufficienza e della qualità di vita. È quanto emerge da un confronto tra esperti organizzato da Quotidiano Sanità, con il sostegno non condizionante di Allergan una società del gruppo AbbVie
Minore autosufficienza e un maggior isolamento con conseguenti problematiche di carattere clinico, economico e sociale. È questo lo status di quanti perdono irreversibilmente la propria capacità visiva che si traduce in una riduzione del 60% della qualità di vita per le persone con cecità legale accertata.
Una vita quindi tutta in salita che si complica ancora di più quando si è anziani o affetti da patologia cronica: le principali cause di perdita irreversibile della capacità visiva sono infatti oltre alla cataratta e al glaucoma, la degenerazione maculare senile (DMS), patologia multifattoriale strettamente legata all’età e l’edema maculare diabetico (DME), una complicanza oculare legata al diabete. Queste ultime sono in costante crescita – da un lato per l’invecchiamento della popolazione dall’altro per la drammatica prevalenza del diabete in Italia e nel mondo. Anche seprofondamente diverse, condividono alcune importanti sfide: dalla gestione terapeutica, al percorso organizzativo di presa in carico fino al burden economico. Aspetti che a tutt’oggi rischiano di generare non poche criticità se trascurati. Sono infatti molteplici ed eterogenei i nodi al pettine: un sistema di cure che mostra accessi frammentati con diversi attori e differenti approcci alle patologie; una scarsa disponibilità di dati nazionali e locali a livello epidemiologico ed economico; ritardi tra la prima diagnosi e l’inizio del trattamento farmacologico che possono portare a danni irreversibili alla vista dei pazienti con un conseguente deterioramento della autosufficienza e della loro Quality of Life.
E ancora, lunghe liste di attesa e difficoltà di accesso a visite oculistiche ed esami strumentali; difficoltà dei pazienti di aderire e rispettare schemi posologici difficili da seguire (alcune terapie possono richiedere trattamenti mensili) che mal si sposano con le esigenze di pazienti anziani e/o dei loro caregiver, ma anche con la capacità organizzativa delle unità di oculistica e delle strutture sanitarie più in generale.
Insomma, una matassa di criticità difficile da dipanare che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha reso ancora più ingarbugliata portando nei tre mesi successivi all’inizio della pandemia ad una riduzione del 25% degli interventi e delle visite oculistiche (circa 250 mila interventi e 3 milioni e mezzo di visite oculistiche cancellate o rimandate). E nei mesi successivi ad un ulteriore appesantimento del carico assistenziale e degli accessi.
Per fare il punto su queste patologie, informare stakeholder e cittadini e soprattutto capire come individuare soluzioni di governance che consentano di rispondere alle necessità diagnostico/terapeutico, Quotidiano Sanità, con il sostegno non condizionante di Allergan an AbbVie Company, ha organizzato un confronto tra esperti.
A puntare i riflettori sulle maculopatie Fulvio Moirano, esperto della sanità Regionale, Giovanni Monchiero, esperto di Management in Sanità, Teresa Petrangolini rappresentante/portavoce del vissuto del paziente, Federico Ricci responsabile del Centro diagnosi e cura Degenerazione maculare senile e patologie retiniche cecitanti Uosd Patologie Croniche Degenerative Oftalmiche di Tor Vergata, Giovanni Staurenghi, Direttore Uoc clinica oculistica Ospedale Sacco di Milano e Federico Spandonaro esperto di Economia Sanitaria della Facoltà di Economia di Tor Vergata e Presidente Crea Sanità.
Un incontro dal quale è emersa con chiarezza la necessità di mettere mano con decisone all’organizzazione del sistema di cure a partire da un restyling del controllo delle liste di attesa e dare così priorità alle prestazioni fondamentali per preservare la vista. Servirebbero poi linee guida ministeriali per uniformare comportamenti e percorsi di cura e bisognerebbe attrezzare gli ospedali con sale intravitreali per poter trattare con continuità i pazienti. E ancora, sarebbe indispensabile rafforzare il collegamento con il territorio anche istruendo i medici di famiglia sulle patologie, sul rischio di ipovisione e cecità, sull’importanza di screening precoci. Infine, conoscendo da un lato i danni irreversibili che può subire la vista a causa di tali patologie e dall’altro dei benefici che una precoce presa in carico potrebbe invece portare, le prestazioni correlate andrebbero incluse nella lista di quelle con carattere di urgenza.
Numeri e costi. Se la DMS è per definizione una patologia dell’invecchiamento, la DME è correlata al paziente diabetico, per entrambe l’età è un fattore di rischio e i pazienti affetti stanno aumentando sensibilmente a causa dell’invecchiamento della popolazione Sono quindi patologie in crescita, sulla cui ampiezza in Italia non vi è però certezza. Un primo gap che andrebbe colmato quanto prima per poter disegnare un’offerta di salute vincente.
Secondo recenti stime, in Italia, la forbice dei dati epidemiologici dei sulla Dms è molto ampia, si va da una prevalenza minima di circa 130 mila persone colpite a un massino di circa 480mila. Per quanto riguarda il diabete, ne sono attualmente affette approssimativamente 4 milioni di persone. Il 6.8% sviluppano DME: si stima quindi vi siano circa 200mila persone con Dme a rischio di cecità se non individuati e trattati per tempo.
Elevati anche i costi diretti ed indiretti: la malattia, impattando significativamente sulla qualità della vita dei pazienti e sulle attività più comuni, porta infatti ad una minore occupazione; spese ed oneri per il trasporto verso visite/cure; spese direttamente a carico dell’ipovedente e dei familiari. Ed anche per il Ssn essa produce costi ospedalieri, sia in termini di complicanze sanitarie che di costi dei servizi oftalmici generali. Si stima un costo annuale per paziente con DME (costi diretti ed indiretti) pari a 9.300 euro. E per il 2030 le stime indicano un ammontare pari a 3 miliardi di euro rispetto ai 2,9 calcolati nel 2020.
I trattamenti. I trattamenti standard prevedono l’uso di agenti che inibiscono la neoangiogenesi (inibitori del VEGF), somministrati per via intravitreale (Ivt) quali ranibizumab, aflibercept e bevacizumab (utilizzato in off-label sulla base della L.648/96) che hanno cambiato il destino dei pazienti. Tuttavia, i regimi di trattamento attuali presentano diverse limitazioni a partire dal somministrazione mensile o comunque molto frequente e ravvicinato: sono richieste infatti numerose visite per le terapie e gli esami diagnotici di follow up con un conseguente onere elevato, potenzialmente ingestibile, per i pazienti e gli operatori sanitari che possono condurre a mancati appuntamenti e iniezioni evitate e quindi ad esiti visivi non ottimali). La scarsa aderenza alle terapie croniche è un tema cruciale in quanto compromette gravemente l’efficacia del trattamento, caratterizzandosi come un elemento critico per la salute della popolazione, sia dal punto di vista della qualità di vita ma anche dell’economia sanitaria. Eppure infatti quello che accade nella pratica clinica è che i pazienti DME ricevono un numero inferiore di iniezioni di anti-VEGF rispetto agli studi clinici, con conseguente riduzione di efficacia.
Per andare verso una migliore getione del paziente, almeno per la DME, sono disponibili d qualche anno nuove tecnologie. Si tratta di steroidi intravitreali corticosteroidi somministrati per via intravitreale in sistemi a lento rilascio che rappresentano oggi un’opzione terapeutica sicura e di provata efficacia nella gestione di questa patologia cronica. Tra questi sistemi, sono approvati e rimborsati per il trattamento della DME l’impianto intravitreale biodegradabile di desametasone, che assicura un rilascio controllato del farmaco fino a 6 mesi, e l’impianto di fluocinolone acetonide, che rilascia 0.2 µg di principio attivo al giorno per circa 36 mesi.
Le maggiori criticità? La spesa per farmaci anti-VEGF, terapia farmacologia di riferimento; lunghe liste di attesa per l’accesso alle iniezioni intravitreali e tempistiche tra la visita e l’inizio del trattamento. E ancora, visite frequenti (diagnostica, terapia, monitoraggio) e un burden su un paziente già affetto da multimorbidità che possono portare a una variabile aderenza alla terapia con rischio di esiti clinici non ottimali.
Esperti a confronto. “In Italia non ci sono numeri esatti sull’incidenza di queste patologie e la prevalenza è variabile – ha spiegato Federico Ricci – aumenta proporzionalmente dopo i 60 anni e del 25% dopo i 65. Nel 2018 sono stati trattati 180 mila pazienti, ma il numero di pazienti affetti da questa patologie potrebbe essere sottostimato in quanto in alcune e Regioni molti pazienti per motivi organizzativi e culturali rimangono esclusi dalla terapia. Alcune terapie dovrebbero essere dispensate ogni mese, ma secondo i dati dell’Osmed la media si attesta a 3,5 trattamenti annui nel primo anno. Inoltre, i pazienti in terapia ultra decennale a causa dell’allungamento della vita aumentano sempre di più e questo pone un problema di crescita negli accessi con un rischio ulteriore di under treatment”.
Insomma, segnalano gli esperti, occorre una rivisitazione dell’organizzazione. Tutto va quindi ripensato. E con il Covid, ha aggiunto Giovanni Staurenghi lo scenario è peggiorato e la ripresa dell’attività a causa delle norme imposte per prevenire eventuali contagi non facilita l’accesso al trattamento, e così non facilita l’accesso alle cure ed il rispetto delle schedule di trattamento. “C’è un gap tra il momento della diagnosi e l’inizio della terapia – ha detto – con pazienti rinviati tra i vari ambulatori: prima di accedere ad un Centro di riferimento tra visite oculistiche ed esami diagnostici possono passare anche molti mesi. Si creano così ipovedenti. Consideriamo inoltre che un paziente che accede in PS per una retinopatia raramente effettua contemporaneamente esami diagnostici e trattamento.”.
Per Staurenghi bisogna mettere mano al piano nazionale delle liste attesa: “Il primo step è cambiare il controllo delle liste di attesa e dare priorità a quanto che serve a preservare la vista. Dare priorità all’esame del fondo dell’occhio per la prima visita non ha senso perché non si previene un problema di ipovisione. Sono altre le visite e i trattamenti da controllare e valutare: le lista di attesa della cataratta sono una cosa, il paziente che deve sottoporsi a questo tipo di intervento, anche se questo viene rinviato a causa di lunghe liste d’attesa non va incontro ad una perdita irreversibile della vista, ma se ho alterazioni della retina la rapidità di intervento è fondamentale perché si va incontro ad una perdita irreversibile della vista”.
In sostanza suggeriscono Ricci e Staurenghi è necessario ed urgente organizzare una rete di Centri di Maculopatia che consentano visite, trattamenti e controlli rapidi o “si corre il rischio non solo di non dispensare cure nei tempi giusti, ma anche di perdere i pazienti in mantenimento vanificando le cure e producendo pessimi risultati”. Così come diviene sempre più necessaria l’implementazione di reti assistenziali per la presa in carico dei pazienti, in cui trovino adeguata armonizzazione funzionale le diverse strutture territoriali e ospedaliere di primo e secondo livello e i centri di eccellenza, identificati sulla base del dimensionamento e della tipologia di dotazione tecnologica, delle competenze professionali, dei volumi di attività e della dislocazione geografica.
Anche per Fulvio Moirano e Giovanni Monchiero occorre un’urgente rivisitazione dell’organizzazione. “Le Maculopatie – ha detto Moirano – sono un tema che non è stato preso in considerazione con la stessa intensità di altre patologie a carico dell’anziano. Un tema che è stato sviluppato solo negli ultimi 10 anni con il caso Avastin Lucentis che ha concentrato l’attenzione solo sul costo. Tante le criticità, tempestività della presa in carico, carichi di lavoro, quantità di ore dei servizi legato al tema del dimensionamento degli organici. Le Reti sono poco considerate: sia per l’impatto in termini di salute che economico avrebbero bisogno di maggiore attenzione. Servirebbero farmaci con un ridotto numero di iniezioni per arrivare nel tempo ad una continuità dei trattamenti”.
Per Monchiero c’è un problema di coordinamento a livello territoriale e occorre intervenire in modo organico al territorio “depositario della funzione di tutela che deve essere affidata al pubblico”. “I Medici di medicina generale – ha detto – potrebbero essere gestiti bene dai Distretti o rinnovando le convenzioni o inserendoli a pieno titolo nei percorsi di presa in carico. Consideriamo poi che il privato sta mettendo in piedi la concorrenza, bisogna gestire quindi tutti i percorsi dei pazienti riportandoli nel pubblico al quale deve essere affidata saldamente la gestione. Ci si è concentrati sui costi non considerando mai quelli a discapito del sistema previdenziale e quelli, ben più alti, della cecità e ipovisione”.
In ogni caso l’ultima parola spetta ai pazienti che rivendicano una presa in carico globale. “C’è una forte determinazione tra i pazienti ad avere percorsi di cura ed equità di accesso adeguati – ha sottolineato Teresa Petrangolini – non c’è più un utente passivo con piccole associazioni territoriali. Il problema enorme è quello del percorso di cura da affrontare: le storie dei pazienti tra i sintomi e l’arrivo nei centri raccontano di tempi persi con pazienti rimpallati da uno specialista all’altro per arrivare tardi ai centri di riferimento. Ci sono pazienti che hanno il rapporto solo con il loro oculista non percependo l’esistenza di una rete. E chi non ha il caregiver è molto penalizzato. Tutti aspetti che non vengono presi in considerazione. Serve quindi una presa in carico globale. Ci sono anche problemi ad ottenere l’invalidità”.