Quando arriva una terapia che funziona, è sempre una bella notizia. Se la patologia in questione poi è una malattia rara che nella sua forma più violenta colpisce soprattutto neonati, il sollievo è ancora più grande.
È quanto sta avvenendo per l’atrofia muscolare spinale (Sma), una patologia neuromuscolare rara e complessa, che colpisce un neonato su diecimila nati vivi nel nostro Paese e può compromettere l’acquisizione delle capacità motorie, della respirazione e della deglutizione. La Sma, infatti, colpisce i motoneuroni, le cellule nervose che inviano gli impulsi dal sistema nervoso centrale ai muscoli.
Se, fino a pochi anni fa, parlare di Sma significava parlare di una malattia per la quale non c’era alcuna speranza, negli ultimi anni stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione terapeutica che consentirà sempre di più nel prossimo futuro di cambiare la storia clinica della patologia.
Se ne è parlato martedì 29 settembre in occasione del webinar organizzato da FamiglieSMA, in collaborazione con l’Osservatorio Malattie Rare e con il contributo non condizionato di Novartis Gene Therapies.
Fino a questo momento gli approcci terapeutici stanno consentendo ai pazienti di gestire la progressione della patologia, attenuandone talvolta la gravità dei sintomi. Le nuove prospettive terapeutiche potranno invece consentire di focalizzarsi sui meccanismi genetici alla base della patologia.
La terapia genica, infatti, consente di utilizzare frammenti di Dna per curare malattie, soprattutto quelle rare, introducendo, attraverso l’utilizzo di un vettore virale adeno-associato, la copia “corretta del gene Smn1 difettoso”, in modo tale che l’organismo possa essere capace di produrre la sintesi della proteina Survival Motor Neuron (Smn), responsabile della “sopravvivenza” dei motoneuroni.
L’importanza della diagnosi precoce
“Parlando di atrofia muscolare spinale, possiamo dire di essere di fronte a una rivoluzione terapeutica poiché, rispetto al passato, stiamo assistendo all’arrivo di opzioni di trattamento che hanno dimostrato nei trial clinici di poter cambiare in maniera significativa la storia della malattia – ha confermato Eugenio Mercuri, Direttore Unità Operativa Complessa Neuropsichiatria Infantile, Pollicino Gemelli, Roma, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs – È necessario però sottolineare come per il trattamento della Sma giochi un ruolo fondamentale la diagnosi precoce: tutti gli studi condotti su bambini pre-sintomatici infatti hanno dimostrato che prima si interviene, maggiori sono le possibilità di avere una risposta più completa”.
Il trattamento della Sma era esclusivamente sintomatico, basato su approcci multidisciplinari e finalizzato a migliorare la qualità di vita dei pazienti. Oggi è chiara l’importanza di intervenire prima che i sintomi si manifestino.
Per chi è portatore della malattia, sarebbe fondamentale accedere allo screening neonatale esteso (Sne), che permette la diagnosi prelevando una goccia di sangue dal bambino a poche ore dalla nascita.
Il referto consentirebbe di avere un quadro clinico completo prima della comparsa dei sintomi, permettendo quindi di intervenire tempestivamente. “In questo momento purtroppo questo è possibile solo nel Lazio e in Toscana, grazie a un progetto pilota – ha ricordato Daniela Lauro, vicepresidente di FamiglieSMA – Ci auguriamo che venga esteso al più presto su tutto il territorio nazionale per garantire a tutti i bambini un futuro migliore”.
Proprio in questi giorni è in corso la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi di FamiglieSMA, che in questo caso non vedrà i volontari dell’associazione scendere in piazza a causa della pandemia: per sostenerli attraverso le donazioni è possibile visitare il sito www.famigliesma.org entro il 17 ottobre.