(Reuters Health) – Secondo quanto emerge da uno studio longitudinale, condotto dalla Northeastern University di Boston –l’architettura del cervello all’età di 7 anni è in grado di predire sintomi di depressione o disturbo da deficit di attenzione e iperattività entro gli 11 anni.”Siamo di fronte a un’enorme epidemia di ansia e depressione adolescenziale – dice Susan Whitfield-Gabrieli della Northeastern University di Boston, autrice principale dello studio – Il nostro laboratorio spera di trovare biomarcatori cerebrali precoci che indichino chi è a rischio sviluppare ansia o depressione”.
Lo studio
Whitfield-Gabrieli e colleghi hanno valutato se la connettività funzionale allo stato di riposo (fMri) all’età di 7 anni fosse in grado di prevedere cambiamenti, quattro anni dopo, nei punteggi della lista di controllo del comportamento dei bambini (Cbcl), un questionario pediatrico utilizzato per individuare problemi comportamentali.
Complessivamente, nello studio condotto su 94 bambini, questi hanno fatto riscontrare variazioni medie minime nei punteggi Cbcl, ma vi è stata una notevole variabilità tra un partecipante e l’altro.
Una connettività prefrontale mediale basale meno positiva e la corteccia prefrontale dorsolaterale (Mpfc-Dlpfc) sono state associate al miglioramento dei problemi attenzionali quattro anni dopo.
Al contrario, una più debole connettività della corteccia cingolata anteriore sinistra (Dlacc) e un’inferiore Dlpfc al basale prevedeva un peggioramento maggiore delle sottoscale di ansia o depressione e isolamento, ma senza cambiamenti nei disturbi somatici.
La debole connettività Dlpfc-sgAcc al basale prevedeva un peggioramento della sottoscala di ansia o depressione per i bambini a rischio familiare di disturbo depressivo maggiore (Mdd) e per quelli in via di sviluppo in genere.
Questi sintomi (peggioramento delle sottoscale di interiorizzazione di ansia o depressione e isolamento) sono associati con Disturbo da Deficit dell’Attenzione (ADHD) e al disturbo depressivo maggiore.
“Penso che queste evidenze potrebbero avere grandi implicazioni cliniche, perché l’identificazione di questi biomarcatori in così giovane età potrebbe promuovere interventi precoci in grado di mitigare o eventualmente prevenire la progressione della malattia psichiatrica”, sottolinea Whitfield-Gabrieli.
“In precedenza, la maggior parte degli studi di neuroimaging longitudinale che prevedono il peggioramento dei sintomi o la conversione in malattia sono stati condotti su individui che sono clinicamente o geneticamente a rischio di malattia – conclude l’autrice– Stiamo estendendo questa ricerca studiando le reti cerebrali in una comunità campione non pre-selezionata sulla base del rischio di malattia mentale”.
Fonte: JAMA Psychiatry
Will Boggs
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)