L’olio di oliva si conferma una eccellenza italiana ma in questo caso l’attenzione è puntata sulle parti di scarto. E’ infatti da qui che potrebbero arrivare importanti novità per l’industria alimentare e per quella farmaceutica. A rivelarlo sono i risultati intermedi della ricerca di sei Università italiane, capofila l’Ateneo di Bari, con il progetto “Sos” (Sustainability of the Olive-oil System), finanziato da dieci fondazioni bancarie (Ager) con 7 milioni nel triennio 2018-2021.
Sono i materiali di scarto della produzione di olio a risultare interessanti, tra i sei assi della ricerca: per la farmaceutica – si legge in una nota diffusa dal progetto – è emerso “l’uso degli estratti di foglie di olivo per bloccare l’azione genotossica del cadmio”; poi, “sono stati ottenuti estratti utili per combattere patologie associate a infiammazioni e stress ossidativo”.
Per l’alimentare, gli stessi estratti sono “ottimi per aumentare la conservabilità (la shelf-life) di taralli” e altri prodotti come “il paté di olive o le olive da tavola fermentate in salamoia. Insomma, bye bye ai conservanti chimici e spazio a quelli naturali” dalle foglie d’olivo. Nuove soluzioni sono in arrivo anche per il packaging e l’uso dei sottoprodotti, “con un approccio sempre più sostenibile nella produzione e nella trasformazione”.
Per l’Ateneo di Bari è al lavoro il Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti (coordinatore Francesco Caponio) e partecipano Università di Milano (Dipartimento di Scienze Alimentari, Ambientali e Nutrizionali), Parma (Dipartimento di Scienze Alimentari), Sassari (Dipartimento di Agraria), Teramo (Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali) e Università Mediterranea di Reggio Calabria (Dipartimento di Agraria).