(Reuters Health) – L’uso dei social media è in grado di indebolire il legame tra dolore e depressione nelle persone anziane. A suggerirlo è uno studio americano pubblicato da Journals of Gerontology, e condotto da Shannon Ang, dell’Università del Michigan di Ann Arbor, e Tuo-Yu Chen, della Pennsylvania State University.
La premessa
Le persone che soffrono di dolore cronico sono a rischio di depressione. E quando il dolore li costringe a stare a casa più tempo, con la conseguenza di interagire meno con amici e familiari, questo rischio è più elevato.
Lo studio
Ang e Chen hanno preso in considerazione 3.401 persone di oltre 67 anni , che tra il 2013 e il 2014 avevano preso parte al National Health and Aging Trends Study. Ogni mese, in media, i partecipanti si impegnavano in un’attività sociale come andare a messa o partecipare a una riunione di un club, e due attività sociali informali, come trascorrere del tempo libero con gli amici a casa.
Circa un terzo dei partecipanti viveva da solo e 1.833, pari al 54%, hanno dichiarato di essere stati infastiditi dal dolore, nel mese precedente l’indagine. Solo il 17% dei partecipanti, inoltre, hanno usato i social network. Tra le persone con dolore, il tasso di depressione si è rivelato inferiore quando queste usavano i social media. Il 6% delle persone attive sui social avrebbe infatti riferito anche minori sintomi di depressione, contro il 15% di coloro che non usavano social.
I commenti
“Usare i social per mantenere i contatti con familiari e amici è un buon modo per compensare la limitiazione delle proprie attività sociali a causa del dolore, anche se non sostituisce i benefici il fatto di un’interazione reale”, spiega Ang. “E’ noto che il supporto sociale sia utile per la depressione e per i sintomi fisici”, aggiunge William Pirl, del Dana-Faber Cancer Institute di Boston, che non era coinvolto nello studio. Tuttavia, l’esperto non raccomanda l’uso dei social a tutti gli anziani. “Le persone rispondono in modo diverso a questi mezzi. Alcuni, per esempio, possono diventare più ansiosi ascoltando storie di altre persone o di altri trattamenti per le patologie di cui soffrono”, conclude Pirl.
Fonte: Journals of Gerontology
Cheryl Platzman Weinstock
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)