(Reuters Health) – Secondo un nuovo studio danese bastano età, sesso e valore dell’apolipoproteina E (Apoe) per predire accuratamente il rischio di Alzheimer a 10 anni.
“Combinando in un algoritmo alcuni fattori semplici come età e sesso e alcuni geni comuni riusciamo a individuare le persone con il più alto rischio di sviluppare la malattia – spiega Ruth Frikke-Schmidt, della University of Copenaghen, autrice principale dello studio – Grazie a queste informazioni possiamo quindi indirizzare meglio la prevenzione, coinvolgendo chi potrà avere i maggiori risultati da un intervento precoce”.
La premessa
Il polimorfismo Apoe E4 è chiaramente associato con la Malattia di Alzheimer e con la demenza. Ma l’associazione tra la variante E4 e la malattia cerebrovascolare, un fattore di rischio chiave per la demenza, non è ancora chiaro.
Lo studio
I ricercatori hanno preso in considerazione i dati dal Copenaghen City Heart Study (1991, 1994, 2001-2003) condotto su oltre 104.000 danesi bianchi, seguendoli nel percorso di diagnosi della demenza e di malattia cerebrovascolare fino al 2014. 3.017 erano portatori del genotipo Apoe E44. Tra questi, il rischio di Malattia di Alzheimer tra i 60 e i 69 anni era del 6% negli uomini e del 7% nelle donne. Il rischio aumentava rispettivamente a 12% e 16% per la fascia d’età 70-79 e diventava del 19% per gli uomini e del 24% per le donne a 80-89 anni. Il rischio di demenza in generale per i portatori dell’Apoe E44 si attestava all’8% per gli uomini e al 10% per le donne nella fascia 60-69, saliva rispettivamente a 19% e 22% per i 70-79enni e arrivava a 33% e 38% per 80-89 anni.
Il rischio di contrarre la demenza in una delle sue forme era significativamente più alto nei genotipi tra E22 e E44. L’hazard ratio tra i portatori di E44 comparato a quello di chi aveva l’E33 è stato di 8,74 per l’Alzheimer, 2,87 per la demenza vascolare, 4,78 per demenza non specificata e 5,77 per ogni forma di demenza.
I commenti
Nel 2017, ha notato Frikke-Schmidt, The Lancet ha pubblicato un contributo sulla demenza identificando nove fattori di salute e stile di vita relativi a diverse fasi d’età e potenzialmente modificabili che, se eliminati, potrebbero prevenire un terzo dei casi di demenza.“Abbiamo abbastanza prove per poter affermare che ciò che è utile per il cuore lo è anche per il cervello – sottolinea l’esperta – Il problema con la demenza è che non abbiamo farmaci davvero efficaci in grado di modificare la malattia. Dobbiamo quindi iniziare con la prevenzione”. L’autrice dello studio ha poi chiarito che “prima di fare qualsiasi cosa dobbiamo ovviamente testare che l’intervento che vogliamo fare funzioni davvero come previsto”, auspicando che i ricercatori clinici inseriscano gli algoritmi di rischio nei trial per l’intervento preventivo. “Se funziona, possiamo iniziare a implementarlo nella clinica”.
Fonte: CMAJ 2018
Anne Harding
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)