C’è ancora molto lavoro da fare, ma nel complesso la situazione è migliorata. In Africa si vive meglio. A dirlo non è solo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel suo rapporto reso noto a margine della 68/a sessione del Comitato regionale in corso in Senegal, a Dakar, ma sono anche i dati: in soli tre anni la speranza di vita in buona salute è passata da 50,9 anni a 53,8.
Il rapporto indica come la salute degli abitanti di 47 Paesi africani sia considerevolmente migliorata. “Quasi tre anni di vita in salute in più è un regalo che ci rende fieri”, ha commentato la direttrice dell’Oms per l’Africa, Matshidiso Moeti, che ha auspicato come il continente possa presto arrivare ai livelli di salute mondiali. Le principali cause di morte in Africa restano le infezioni alle prime vie respiratorie, quella del virus Hiv responsabile dell’Aids e le infezioni gastrointestinali: è su queste tre affezioni che i Paesi africani hanno adottato programmi di prevenzione. La mortalità legata a queste patologie è dunque diminuita passando da 87,7 a 51,1 decessi ogni 100 mila persone in 5 anni.
Secondo l’Oms, l’Africa deve ora migliorare le cure per tutte le patologie non solo quelle finora considerate prioritarie. Le malattie cardiache e il cancro, infatti, ormai mietono molte vittime, così come una persona su 5, tra i 30 e i 70 anni, in Africa rischia di morire per malattie non trasmissibili. L’Oms sottolinea inoltre la necessità di predisporre servizi di salute dedicati a fasce d’età al momento trascurate, come adolescenti e anziani. Sono infine necessari, secondo l’Oms, investimenti importanti sul personale sanitario, considerando che al momento l’offerta è di due medici e 15,5 letti d’ospedale ogni 10 mila persone.
Si calcola infine che in Africa in media il 39% dei bilanci sanitari sono utilizzati per l’acquisto di prodotti medicali, mentre le spese per il personale sanitario si attestano al 14% e quelle per le infrastrutture solo al 7%. Un’analisi dei modelli di spesa rileva come i Paesi con sistemi sanitari ad alte prestazioni dedichino fino al 40% dei loro investimenti al personale e il 33% alle infrastrutture.