Melanoma: identificati biomarker per predire risposta all’immunoterapia

(Reuters Health) – L’espressione delle proteine di classe I e II del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) potrebbe aiutare a predire la risposta del pazienti all’immunoterapia nel trattamento del melanoma. A evidenziarlo è una ricerca pubblicata  da Science Translation Medicine e guidata da Scott Rodig, del Brigham and Women’s Hospital di Boston.

Lo studio
I ricercatori americani hanno esaminato l’espressione delle proteine MHC in campioni bioptici prelevati prima dell’inizio del trattamento in pazienti arruolati in trial clinici. In particolare, i malati venivano trattati con quattro regimi terapeutici: ipilimumab, un anti-CTLA-4, seguito da nivolumab, un anti-PD-1, nivolumab seguito da ipilimumab, ipilimumab da solo o nivolumab e ipilimumab somministrati contemporaneamente.

Le evidenze
Dai risultati è emerso prima di tutto che una perdita parziale o completa delle proteine di classe I MHC, osservata nel 43% dei pazienti non trattati, sarebbe stata associata a progressione della malattia e a resistenza a ipilimumab in monoterapia e ipilimumab somministrato prima di nivolumab, ma non ai due farmaci somministrati insieme.Al contrario, la carenza di proteine di classe I del complesso MHC non sarebbe associata a resistenza a nivolumab, un meccanismo che, a detta degli autori, sarebbe dovuto al fatto che l’inibizione di PD-1 è associata a una pre-esistente attivazione immunitaria mediata dall’interferone gamma.

Così, pazienti con tumori caratterizzati da alti livelli di interferone gamma prima del trattamento avrebbero avuto esiti migliori dopo terapia con nivolumab o con la combo, ma non con monoterapia a base di ipilimumab. Inoltre, un’espressione di MHC di classe II maggiore dell’1% sarebbe associata a una maggiore probabilità di risposta completa o parziale, o di malattia stabile, dopo terapia con nivolumab.

Nei pazienti con melanoma in fase avanzata, il trattamento con l’inibitore del CTLA-4 insieme agli anti PD-1 fornisce benefici rispetto alla monoterapia, ma “gli effetti biologici unici derivati dall’inibizione delle due proteine di checkpoint immunitario sono ancora poco conosciuti”, hanno scritto Rodig e colleghi.

“Le ricadute sul real word sono che possiamo identificare quali pazienti con melanoma beneficeranno o meno di una terapia con anti-CTLA-4 o anti-PD-1, sulla base dell’esame del tessuto tumorale e della risposta endogena del paziente al tumore”, spiega Rodig. “Sarà ora necessario testare questi biomarker in una sperimentazione clinica, per dimostrare se i test possono essere usati regolarmente nella pratica, per adattare la scelta terapeutica”.

Fonte: Science Translational Medicine
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

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