Basse dosi di aspirina potrebbero avere un ruolo importante per combattere l’insorgenza e l’aumento delle placche amiloidi nei soggetti con morbo di Alzheimer. A suggerirlo è uno studio preliminare su animali e pubblicato sul The Journal of Neuroscience.
Lo studio
I ricercatori della Rush Medical University di Chicago, negli Usa, hanno somministrato per un mese basse dosi di acido acetilsalicilico orale in un campione di topi con Alzheimer. Hanno poi valutato la quantità di placche amiloidi, ovvero accumuli di proteine che inibiscono le connessioni tra i neuroni, nelle regioni cerebrali interessate dall’Alzheimer, in particolare nell’ippocampo, associato alla memoria.
Dopo il trattamento, le placche erano diminuite e secondo gli autori ciò era dovuto alla proteina TFEB. Quest’ultima è infatti responsabile del controllo sulla rimozione di accumuli di beta-amiloide poiché favorisce la produzione di lisosomi, vescicole presenti preposte all’eliminazione dei rifiuti dalle cellule. Non è la prima volta che i risultati di studi scientifici suggeriscono il legame tra aspirina e riduzione degli effetti di malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson.
Ma una revisione sistematica della letteratura in materia pubblicata sulla rivista Stroke nel 2010 aveva messo in guardia dall’utilizzo della molecola in pazienti con Alzheimer. A causa del suo effetto di antiaggregante piastrinico, infatti, può determinare un incremento del rischio di emorragia cerebrale e se ne sconsiglia quindi la prescrizione se non è presente un’indicazione cardiovascolare.