Sempre “sul pezzo” e reattivi, con una super memoria e altissimi livelli di concentrazione. Spesso però non siamo noi a volerlo, ma è la società ad imporlo e allora corriamo ai ripari. I ripari in questione però non sono proprio un bene perché si tratta di farmaci. Sempre più lavoratori e studenti ricorrono infatti a medicinali usati in modo improprio per potenziare proprio memoria e attenzione. A porre l’attenzione sul fenomeno, ancora poco indagato in Italia, è uno studio pubblicato sull’International Journal of Drug Policy e ripreso da Nature online, che ha analizzato l’utilizzo di sostanze normalmente prescritte nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e di farmaci studiati per curare i disordini del sonno, come la narcolessia.
Negli Usa è stato riportato il più alto tasso di utilizzo: nel 2017 quasi il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver usato questo ‘doping del cervello’ non per motivi di salute almeno una volta nei precedenti 12 mesi, nel 2015 erano il 20%. Ma i maggiori aumenti sono stati in Europa: dal 2015 al 2017 l’uso in Francia è salito dal 3% al 16%, nel Regno Unito dal 5% al 23%, in Olanda dal 10% al 24%, in Irlanda dal 4% al 18%. Quasi la metà (48%) delle persone ha dichiarato di avere avuto questi farmaci attraverso gli amici; il 10% li ha acquistati da un rivenditore o su internet; il 6% li ha ottenuti da un membro della famiglia; e il 4% aveva proprie ricette. Percentuali simili sono osservate anche negli studi sulla popolazione generale, e ciò “suggerisce che i risultati dell’indagine sono robusti”, puntualizza la prima autrice Larissa Maier, psicologa dell’Università della California, San Francisco.
Il report si basa sui dati del Global Drug Survey e include 15 Nazioni, compresi molti nostri ‘vicini di casa’, ma non ha numeri riguardo all’Italia. “E’ un problema rilevante e noto all’estero più che da noi, anche perché in Italia i dati ufficiali sono scarsi e il fenomeno non è indagato quanto dovrebbe”, commenta Gabriele Miceli, ordinario di Neurologia presso l’Università di Trento. “Si parla di un disagio che ci porta a esigere sempre più da noi stessi. Chiediamo sempre di più a un organismo che non è pensato per i ritmi che la società impone”.
“Di fatto – afferma Miceli – la raccolta di informazioni in materia è complessa anche perché c’è reticenza da parte degli intervistati, anche quando le rilevazioni garantiscono l’anonimato. Le categorie più a rischio sono disparate, e includono non solo studenti che preparano esami, ma anche lavoratori che devono svolgere turni prolungati, spesso anche notturni, come autotrasportatori e operatori sanitari”. Ma alla lunga i nodi vengono al pettine. “Un conto è l’uso medico e un altro è l’abuso. Si tratta – precisa – di amfetamine e amfetaminosimili che vanno presi sotto controllo medico, perché oltre a diminuire il senso di stanchezza, aumentano pressione e frequenza cardiaca”. Quello che si rischia inoltre è la dipendenza. “Al senso di euforia ed energia indotte da farmaci – conclude – una volta abituatisi è difficile rinunciare”.