Dietro agli impianti dentali si nasconde il rischio di sviluppare perimplantite, patologia caratterizzata da infiammazione dei tessuti che circondano l’impianto e perdita dell’osso su cui l’impianto stesso è fissato che può portare anche alla rimozione dell’impianto stesso. A fare il punto della situazione è Cristiano Tomasi, Professore Associato presso il dipartimento di Parodontologia all’Università di Gteborg e membro della Società Italiana di Parodontologia (SIDP).
La ricerca
Tomasi e i suoi colleghi svedesi hanno realizzato uno studio su cause e frequenza della perimplantite, utilizzando i dati del registro svedese sugli impianti dentali e coinvolgendo attivamente (con visite) 588 pazienti trattati con impianti 9 anni prima. Dallo studio, pubblicato sul Journal of Dental Research, è emerso che la perimplantite non è un problema raro, riguarda – in forma grave, caratterizzata da perdita superiore a 2 millimetri di osso e sanguinamento e con rischio di perdita dell’impianto dentale – circa il 15% dei pazienti (uno ogni 7 a nove anni dall’impianto) e l’8% degli impianti. In forma ancora non preoccupante (caratterizzata da una perdita di osso ancora contenuta entro il mezzo millimetro) riguarda quasi la metà dei pazienti con impianto (45,5% di essi).
La riabilitazione di denti mancanti con impianti è una delle terapie più diffuse e pubblicizzate negli ultimi anni. In Italia si stima si facciano oltre un milione di impianti ogni anno. La prima causa di perdita denti è la parodontite, malattia gengivale responsabile del 40% dei denti persi in un adulto. Poi vi sono le carie che danno conto del 20% dei denti persi in un adulto, infine le fratture (20-30%). La parodontite è una diffusa malattia che porta le gengive a ritrarsi fino alla formazione di una tasca dove si accumulano batteri e si presenta un forte stato infiammatorio; questo incide sull’osso su cui è fissato il dente, che inizia a ‘ballare’. I fattori di rischio sono la suscettibilità genetica, il vizio del fumo, il diabete, la placca e una cattiva igiene orale, ma anche lo stress e talvolta carenze vitaminiche.
La perimplantite è simile alla malattia parodontale. Anche nel caso della perimplantite si verifica un’infezione della gengiva, del tessuto di supporto dell’impianto; l’osso si ritira perché c’è un’infiammazione accentuata. E anche nella perimplantite sono determinanti fumo, diabete e cattiva igiene orale. Inserire un impianto dentale non è sempre, dunque, una soluzione definitiva alla perdita di denti, spiega Tomasi: “in realtà la problematica parodontale si può spostare dal dente vero all’impianto che lo sostituisce. L’impianto va bene solo se adotti un’igiene specifica (per esempio con scovolini per almeno 5-10 minuti al giorno) soprattutto tra un dente e l’altro, la zona più attaccabile dai batteri – spiega l’esperto – con un impianto come con i denti non si deve sottovalutare la gengivite, cioè la presenza di sanguinamento quando ci si spazzola”.
Per di più la perimplantite è subdola perché non dà di fatto sintomi e quando ci si accorge del problema in genere è già tardi. Bisogna quindi valutare periodicamente che l’impianto sia in salute, ma soprattutto, prima di procedere all’innesto di un impianto bisogna trattare e curare la parodontite (infatti, il rischio di andare incontro a perimplantite è ben 8 volte maggiore per un paziente che soffre di parodontite). “L’impianto resta un ottimo sostituto al dente che manca – sottolinea Tomasi – non va quindi demonizzato in sé, ma con l’accortezza di inserirlo solo dopo aver risolto la parodontite e, soprattutto, l’impianto non deve essere mai il sostituto di un dente che si può salvare”.
“Cionondimeno – conclude l’esperto – negli ultimi anni si sta assistendo a un aumento di estrazioni di denti che potrebbero essere salvati, purtroppo a volte anche per ragioni economiche, perché spesso costa meno togliere e mettere impianti che non effettuare tutte le procedure corrette per curare e salvare un dente”.