Piante e uomini non sono poi così differenti, o almeno quando si parla di anestesia. A indicare che come esseri umani e animali anche le piante possono essere anestetizzate e quindi utilizzate per sperimentare anestetici, è uno studio condotto tra Italia e Germania e pubblicato sulla rivista Annals of Botany.
La scoperta si deve al gruppo coordinato da Stefano Mancuso, dell’Università di Firenze, e da Frantisek Baluska, dell’università tedesca di Bonn. ”La nostra ricerca è la prima a prendere in esame gli effetti che anestetici, di natura molto diversa, hanno su piante appartenenti a diverse specie”, ha detto Mancuso, che dirige il Laboratorio di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze.
Nell’esperimento, gli anestetici sono stati dati sotto forma di vapori oppure fatti assorbire attraverso le radici a piante molto diverse fra loro, come il pisello, il crescione, la mimosa pudica e due piante carnivore, la Venere acchiappamosche e la Drosera capensis. Queste specie, ha rilevato Mancuso, ”sono state scelte perché hanno organi che si muovono velocemente e che possono indicarci, con semplicità, l’effetto degli anestetici”.
Inoltre è stata utilizzata l’arabetta comune, ”in quanto pianta modello”, conosciutissima dai biologi. Dopo ‘l’anestesia’, le piante hanno perso tutti i movimenti autonomi e quelli indotti dal tatto. Per esempio le foglie della mimosa pudica, che si chiudono quando vengono toccate, non lo hanno fatto più; le foglie dentate della Venere acchiappamosche che si chiudono quando catturano una preda sono rimaste aperte; e i viticci dei piselli, ossia i filamenti che usano per aggrapparsi a un sostegno, sono rimasti immobilizzati in una forma arricciata.
Secondo l’esperto la scoperta potrebbe aprire la strada sia alla possibilità di utilizzare le piante per sperimentare gli anestetici, sia allo studio dei meccanismi base di funzionamento di questi farmaci, per comprendere ”perché molecole così differenti siano in grado di ”spegnere” la nostra coscienza”.