(Reuters Health) – Il carcinoma papillare della tiroide può diventare più aggressivo dopo la menopausa e potrebbe essere correlato all’aumento dell’espressione del recettore alfa degli estrogeni. A suggerirlo un recente studio statunitense di piccole dimensioni.
Lo studio
Per cinque anni, John Lew e colleghi, della Miami University, hanno studiato lo sviluppo del carcinoma papillare tiroideo, istologicamente confermato in 20 donne sottoposte a tiroidectomia totale, delle quali 9 in premenopausa (di età tra i 21 e i 40 anni) con cicli mestruali regolari e 11 donne in postmenopausa (di età superiore ai 55 anni ) il cui ultimo periodo mestruale si era verificato più di un anno prima dell’intervento. Nessuna delle pazienti era stata trattata con modulatori di estrogeni o analoghi.
Da ogni paziente i ricercatori hanno raccolto sia il tessuto PTC, sia campioni di controllo di tessuto non-PTC dal lato controlaterale della ghiandola tiroidea. Il recettore alfa estrogenico era iperespresso in misura maggiore nei campioni PTC rispetto ai campioni di controllo nelle donne in postmenopausa, ma non nelle donne in premenopausa. Nessuno dei due gruppi ha mostrato invece una differenza tra campioni PTC e campioni controllo riguardo l’espressione del recettore beta estrogenico.
L’aumento dell’attività della metalloproteinasi-2 della matrice, che è una misura dell’invasività del tumore, è stata trovata solo nel tessuto PTC delle donne in post menopausa. Le cellule PTC nelle donne in pre-menopausa hanno aumentato l’attività della chinasi a regolazione extracellulare, ma non della protein-chinasi B, rispetto alle cellule di controllo. Al contrario, le cellule PTC post-menopausali avevano una ridotta espressione della chinasi extracellulare e una maggiore attivazione della protein-chinasi B, rispetto al tessuto di controllo. Dopo essere stata trattata per 2 settimane con bromuro di etidio, l’espressione della proteina recettoriale alfa è aumentata solo nelle cellule PTC in premenopausa, ma non in quelle in postmenopausa.
Questa ricerca, secondo gli autori, potrebbe aprire le porte a terapie molecolari sistemiche mirate in un sottogruppo di pazienti, come appunto le donne in postmenopausa.
Fonte: Surgery
Lorraine L. Janeczko
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)