(Reuters Health) – La clemastina, un antistaminico datato e disponibile come farmaco da banco, avrebbe mostrato una capacità nel riattivare la produzione di mielina, nei pazienti con sclerosi multipla. Lo studio, un trial clinico di fase II pubblicato sul Lancet, è stato coordinato da Ari Green, del Weill Institute for Neurosciences all’Università della California di San Francisco.
Lo studio
Per la sperimentazione, nota come ReBUILD, Green e colleghi hanno arruolato pazienti clinicamente stabili affetti da sclerosi multipla recidivante, in terapia con immunomodulatori. Tutti i pazienti avevano la malattia da meno di 15 anni e una preesistente demielinizzazione con danno visivo definito dal ritardo nei Potenziali Evocati Visivi (VEP – Visual Evoked Potential) di almeno 118 millisecondi in almeno un occhio. A 50 pazienti è stata somministrata clemastina, 5,36 mg due volte al giorno, per 90 giorni e poi placebo per altri 60 giorni. Mentre un altro gruppo è stato trattato prima con placebo per 90 giorni e poi con l’antistaminico, per i restanti 60. Il risultato primario riguardava gli effetti proprio sui VEP.
I risultati
Il trattamento con clemastina avrebbe significativamente ridotti il ritardo di latenza medio di 1,7 millisecondi per occhio rispetto al valore iniziale, un effetto che durava anche quando i pazienti passavano dal farmaco al placebo, “suggerendo che la riparazione della mielina era indotta dal farmaco”. Un miglioramento della latenza superiore ai 6 millisecondi durante il trattamento sarebbe stato riscontrato nel 16% dei pazienti del primo gruppo e nel 26% del secondo, trattati prima con placebo. A parte la stanchezza, i pazienti non avrebbero riferito eventi avversi gravi durante la terapia.
Le considerazioni degli esperti
“Il farmaco è noto per l’attivazione della maturazione delle cellule produttrici di mielina. E anche se avrebbe un modesto effetto sui risultati elettrofisiologici, ci sarebbe un benefico clinico, dovuto all’attivazione delle staminali a maturare e costruire nuova mielina, dunque non è necessario alcun trapianto – precisa Green – Che non si parli di “Effetto Lazzaro”, farmaci come la clemastina non sono in grado di ripristinare lesioni presenti da molto tempo e con danni all’assone. Nessuno può rimielinizzare un assone che non c’è. Una delle innovazioni di questo studio è stato quello di selezionare pazienti, utilizzando la tomografia ottica computerizzata, che avessero sufficienti assoni residui a partire dai quali potesse essere effettuata e misurata una rimielinizzazione”. Secondo Jeffrey Cohen del Neurologic Institute of Cleveland Clinic, in Ohio, “lo studio è importante perché potrebbe aiutare a identificare un approccio diverso per promuovere la riparazione del danno”. Mentre Farrah Meteen, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School di Boston, ha sottolineato che “i risultati di questo studio sono interessanti anche perché si tratta di un farmaco largamente disponibile ed economico per i pazienti, anche se bisognerà aspettare trial più ampi”.
Fonte: Lancet
di Lorraine Janeczko
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)