(Reuters Health) – Attraverso la valutazione di 52 geni nel sangue periferico, un gruppo di ricercatori americani, coordinato da Jose Herazo-Maya della Yale School of Medicine di New Haven, in Connecticut, avrebbe messo a punto un sistema per predire il decorso della fibrosi idiopatica polmonare (IPF – idiopathic pulmonary fibrosis). Un punteggio che, a detta degli autori, sarebbe migliore del metodo classico di valutazione basato sui soli parametri clinici. La scala, che consente di dividere i pazienti tra alto e basso rischio, è stato pubblicato da Lancet Respiratory Medicine.
Lo studio
Herazo-Maya e colleghi hanno reclutato 425 partecipanti da sei centri tra USA, Gran Bretagna e Germania. L’età media variava dai 67 ai 70 anni, a seconda del centro, e la maggior parte dei pazienti erano uomini. I ricercatori hanno raccolto le cellule mononucleate del sangue periferico o il sangue intero all’inizio, da tutti i partecipanti e dal 23% di questi tra i quattro e i sei anni di follow-up. Dopo aver valutato i 52 geni, i ricercatori hanno utilizzato lo Scoring Algorithm for Molecular Subphenotypes (SAMS), da loro stessi messo a punto, per classificare i pazienti in base al rischio, più basso o più alto.I pazienti a basso rischio e ad alto rischio avevano differenze significative in termini di mortalità o sopravvivenza senza trapianti, con un range del rischio tra 2,03 e 4,37. Raggruppando i dati, i ricercatori hanno evidenziato un aumento del rischio simile per i pazienti ad alto rischio, pari a 2,18 per la mortalità e 2,04 per la sopravvivenza senza trapianto. Aggiungendo la valutazione genetica ai parametri come sesso, età e all’indice fisiologico, che usa le variabili cliniche, il sistema di valutazione dei geni avrebbe migliorato in modo significativo la precisione predittiva. I profili di rischio tendevano a non variare nei pazienti non trattati, ma i cambiamenti temporali nei punteggi SAMS sarebbero stati associati a cambiamento nella capacità vitale forzata. Ad esempio, alcuni pazienti ad alto rischio avrebbero avuto una inversione nel profilo genomico dopo l’avvito di una terapia antifibrosa.
I commenti
Presi insieme, questi risultati “possono essere importanti per valutare la priorità per il trapianto o stratificare i pazienti nei trials sui farmaci”, ha spiegato Herazo-Maya. “Sulla base dell’attuale punteggio, molti pazienti con IPF dovrebbero essere inviati al trapianto – ha spiegato -. Tuttavia i nostri dati suggeriscono che i pazienti con un profilo genomico ad alto rischio potrebbero aver bisogno di trapianto urgente, mentre molti altri non ne avrebbero bisogno fino ai tre-cinque anni dalla diagnosi”. Il coautore Naftali Kaminski, sempre di Yale, ha sottolineato che “mentre la previsione dei risultati era basata su più di 400 persone, le osservazioni sui cambiamenti temporali e la risposta potenziale alle terapie sono stati ottenuti solo su un ristretto sottogruppo di pazienti, per cui ulteriori studi sono necessari per capire se il punteggio può effettivamente essere utilizzato anche per valutare l’andamento del trattamento”.Una riflessione condivisa anche da Martin Kolb, della McMaster University di Hamilton, in Ontario, coautore di un editoriale sull’articolo, secondo il quale “ci sarebbe bisogno di studi prospettici per tradurre questi risultati nella pratica clinica della IPF
Fonte: Lancet Respiratory Medicine
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)