(Reuters) – Nessuna italiana entra a far parte della classifica mondiale 2017 delle università più innovative, stilata da reuters in collaborazione con Clarivate Analytics. Un’eco di amarezza risuona nelle aule accademiche del vecchio stivale che non trovano posto nell’elenco delle top 100 premiate per l’innovazione, una classifica basata su dati e analisi da diversi indicatori, tra cui il numero di brevetti e le citazioni di lavori scientifici.
La Stanford University, nel cuore della Silicon Valley, in California, si conferma l’università innovativa per eccellenza. Per il terzo anno consecutivo è al primo posto nella top 100 mondiale stilata da Reuters, una classifica La classifica è stata stilata non annovera università italiane.
Nelle prime dieci posizioni, la classifica resta pressoché invariata rispetto al 2016, con università grandi e ben consolidate tra Stati Uniti e l’Europa Occidentale a farle da padrone. Al secondo e terzo posto ci sono, rispettivamente, il MIT e Harvard. Al quarto posto si è posizionata l’Università della Pennsylvania, che è risalita dall’ottava posizione dello scorso anno. Mentre al di fuori degli USA, l’università più quotata è la KU Leuven, in Belgio, al numero cinque della classifica.
Guardando più a Est, invece, nelle top 20 ci sono solo due asiatiche, entrambe in Corea del Sud. E l’Asia è proprio il continente più penalizzato, con 20 università in classifica, e il perché sarebbe da ricondurre al periodo di crisi ormai ventennale che sta affrontando il Giappone, in cui il settore R&S dipende fortemente dalla spesa pubblica e che dunque impiega sempre meno soldi in innovazione e ricerca. Secondo i dati pubblicati da Clarivate Analytics, che tiene traccia degli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche, i ricercatori giapponesi rappresentavano l’8,4% di tutti i lavori pubblicati nel 2005, ma solo il 5,2% di quelli pubblicati dieci anni più tardi, nel 2015. E le aree di ricerca come l’informatica hanno mostrato una riduzione ancora maggiore, con un numero di articoli pubblicati in calo di oltre il 37%. Così, tre delle università giapponesi in classifica perdono posizioni e una è uscita dalle top 100, mentre l’unica a guadagnare posti è stata la Kyushu University.
La Cina invece, avanza, anche se molto piano considerando le sue potenzialità a livello economico e di popolazione. Il numero di università cinesi in classifica è arrivato a tre, e due di quelle già presenti in classifica nel 2016 hanno scalato di molto la classifica, salendo alla posizione 51 e 60, rispettivamente dalle posizioni 65 e 70 dello scorso anno.
Naturalmente, come sottolineato dalla stessa Reuters, la classifica è relativa all’intera università e misura l’innovazione a livello istituzionale, dunque potrebbe trascurare innovazioni particolarmente significative di singoli ricercatori. In ogni caso, è poco importante che un’università si trovi all’inizio o alla fine della classifica, in quanto tutte quelle presenti producono ricerche originali, creano tecnologie utili e stimolano l’economia globale.
Fonte: Reuters
di David Ewalt
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)