(Reuters Health) – Ricercatori olandesi sostengono che la resezione ileocecale laparoscopica sia “un’alternativa sensata” a infliximab nei pazienti con malattia di Crohn (CD) limitata e non stenosante per cui il trattamento convenzionale si sia rivelato non efficace. Lo studio è stato pubblicato su The Lancet Gastroenterology and Hepatology.
Lo studio
Willem Bemelman dell’Academisch Medisch Centrum di Amsterdam e colleghi hanno condotto uno studio multicentrico randomizzato in aperto in cui hanno messo a confronto la resezione ileocecale laparoscopica con infliximab in pazienti con CD attiva dell’ileo terminale che non avevano risposto ad almeno tre mesi di terapia convenzionale con steroidi, tiopurine o metotressato. L’outcome primario era la qualità della vita, valutata tramite il questionario Inflammatory Bowel Disease Questionnaire (IBDQ) a 12 mesi. Gli outcome secondari erano la qualità della vita in generale, misurata tramite l’indagine sulla salute Short Form-36 e le sue sottoscale, e altri fattori. Tra il 2008 e il 2015, 143 pazienti (età media 27 anni; 33% uomini) provenienti da Olanda e Regno Unito sono stati assegnati a random a sottoporsi a una resezione o a ricevere infliximab.
I risultati
Dopo la correzione per differenze al basale, i punteggi medi a 12 mesi erano 178,1 nel gruppo resezione e 172,0 in quello infliximab per l’IBDQ e 112,1 vs 106,5 per l’SF-36. Entrambe le differenze tra i gruppi non sono risultate statisticamente significative. I punteggi medi a 12 mesi per le sottoscale relative alla componente fisica e a quella mentale dell’SF-36 erano 47,7 e 49,5 per il gruppo sottoposto a resezione e di 44,6 e 46,1 per il gruppo infliximab. Solo la sottocomponente fisica ha mostrato un significativo vantaggio con la resezione. Altre valutazioni hanno incluso il numero medio dei giorni di congedo per malattia (3,4 con resezione vs 1,4 con infliximab); i giorni in cui i soggetti non sono riusciti a prendere parte alla vita sociale (1,8 vs 1,1); i giorni di ricovero programmato (6,5 vs 6,8) e il numero dei pazienti che avevano subito ricoveri non programmati (13 vs. 15). Tra i pazienti che si erano sottoposti a resezione, quattro pazienti hanno patito gravi complicanze legate all’intervento, mentre tra quelli trattati con infliximab due soggetti hanno avuto gravi eventi avversi dopo l’assunzione del farmaco. Durante un follow-up mediano di quattro anni, il 37% dei soggetti trattati con infliximab sono stati sottoposti a resezione e il 26% di quelli che hanno affrontato l’intervento hanno ricevuto una terapia anti-TNF.
I pareri degli esperti
Louis Cohen del Mount Sinai Hospital di New York City, non coinvolto nello studio, ha giudicato i risultati “di fondamentale importanza” notando che “a causa delle preoccupazioni sui rischi della chirurgia, il dogma radicato sulla terapia per la malattia di Crohn è stato che alla chirurgia segue un fallimento del trattamento farmacologico. Il fatto che il 75% dei pazienti nel gruppo della chirurgia non assumesse farmaci biologici durante il follow-up suggerisce con certezza altri possibili benefici legati al costo, cosa a cui gli autori alludono ma che non riferiscono nel presente studio. Sono elettrizzato dal vedere questi due trattamenti messi a confronto in uno studio concepito così bene, poiché ritengo che lo studio confermi i sospetti che molti medici che trattano pazienti con Crohn hanno – cioè che la chirurgia possa essere una terapia sicura ed efficace per alcuni pazienti ed offrire loro una strada più diretta per una remissione duratura”, ha concluso.
David Rubin, Capo del Dipartimento di gastroenterologia, epatologia e nutrizione presso la University of Chicago Medicine ha convenuto: “Per alcuni pazienti un intervento chirurgico nelle prime fasi della malattia permetterà un miglior controllo e, come mostra lo studio, una successiva qualità della vita eccellente. Spesso spiego ai pazienti che uno dei progressi più significativi nella gestione della CD è stata la nostra capacità di prevenirla dopo una resezione chirurgica eseguita da mani esperte. Bisogna ancora lavorare per capire meglio quali pazienti beneficerebbero al massimo di questo approccio. Tuttavia, lo studio ci fornisce le informazioni necessarie per avere dialoghi informati con i nostri pazienti sulle opzioni di trattamento”.
Robin Rothstein, della Lewis Katz School of Medicine della Temple University di Philadelphia, ha dichiarato che nonostante i risultati “interessanti”, “è prematuro sostenere che la chirurgia sia una valida alternativa al trattamento farmacologico per i pazienti con malattia di Crohn. Precedenti studi hanno dimostrato una riduzione del tasso di ospedalizzazione e complicazioni della malattia con la terapia biologica. Inoltre, un intervento tempestivo con questi trattamenti potrebbe ridurre lo sviluppo di complicazioni della malattia”. Le ricerche future dovrebbero includere “studi di imaging dell’intestino o procedure endoscopiche per valutare direttamente l’attività della malattia – afferma la specialista – Vi sono costi significativi legati all’uso dei farmaci biologici. Il loro uso è diventato uno dei fattori principali nella spesa complessiva per trattare i pazienti con IBD. Tuttavia – ha concluso – ciò deve essere bilanciato con il costo della chirurgia, i guadagni persi per l’assenza dal lavoro e il costo delle cure successive, poiché molti pazienti continueranno a necessitare di trattamenti”.
FONTE: Lancet Gastroenterology Hepatology 2017.
di Marilynn Larkin
(Versione Italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)