Virus e batteri sono più efficaci se la “vittima” vive in condizioni di isolamento sociale. Questo è dovuto al fatto che lo stress, quindi gli stati mentali, influenza il nostro sistema immunitario.
A fare il punto è il congresso organizzato dalla Società Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia (SIPNEI), di Roma. Obiettivo, aggiornare su nuovi studi che esaminano l’organismo nella sua interezza. “Vivere in una condizione di isolamento sociale – spiega Francesco Bottaccioli, fondatore di Sipnei – è associato a un profilo psicologico caratterizzato da ansia, paura di ricevere valutazioni negative, estrema sensibilità al rifiuto. Ma è anche associato a un raddoppio dei livelli dei marker infiammatori (PCR, proteina C reattiva e interleuchine) e una forte reattività del sistema immunitario ad agenti patogeni”.
Una condizione opposta a quando ci si sente aiutati. “Uno studio che ha seguito per 13 anni oltre 3.000 uomini e donne over 50 e realizzato dalla Oxford University – prosegue – ha documentato che c’è una riduzione significativa della mortalità nelle persone che ricevono supporto dal proprio coniuge e che hanno una rete di amicizie stabile”. Insomma, “gli stimoli sociali agiscono come farmaci”.
D’altro canto, l’esposizione a stress psicologico e sociale in epoche precoci della vita, ha ripercussioni sullo sviluppo morfologico e funzionale del cervello. “In particolare, modificazioni evidenti – sottolinea Andrea Minelli, professore di Fisiologia all’Università di Urbino Carlo Bo – riguardano strutture dell’area fronto-limbica e la corteccia prefrontale. Queste alterazioni potrebbero contribuire a rendere l’individuo meno resiliente, più vulnerabile agli eventi stressanti, aumentando il rischio di sviluppare in seguito patologie stress-correlate”.