Venti dermatologi esperti di psoriasi hanno realizzato le prima linee guida italiane che aiutano gli specialisti a gestire i pazienti affetti dalla forma più grave di questa malattia infiammatoria che colpisce la pelle: la psoriasi cronica a placche. Ne parliamo con Paolo Gisondi del Dipartimento di Medicina, Sezione di Dermatologia e Venereologia dell’Università di Verona, che ha coordinato i dermatologi nella stesura del documento, pubblicato sul Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology.
Perché delle linee guida sulla psoriasi cronica?
La psoriasi è una delle più diffuse malattie dermatologiche. È una patologia cronica infiammatoria della pelle che interessa circa il 2-3% della popolazione e si manifesta con placche eritematose e squamose, principalmente a livello di gomiti, ginocchia e cuoio capelluto. Nel 70% dei casi si presenta in forma lieve o moderata, ma un paziente su tre è colpito da una malattia diffusa e grave.
Le lesioni cutanee sono spesso sintomatiche, causano prurito e bruciore e possono mettere molto a disagio il paziente nei suoi rapporti sociali, compromettendo la sua qualità della vita tanto che c’è una maggiore tendenza alla depressione tra le persone affette da psoriasi grave.
Le terapie disponibili includono trattamenti topici, sistemici e fototerapia. Negli ultimi anni, tra le terapie sistemiche, sono arrivati anche i farmaci biologici. Abbiamo sentito il bisogno di condividere delle linee guida sullo screening e il monitoraggio dei vari trattamenti anche in relazione ad alcune sottopopolazioni di pazienti, come bambini e anziani, donne in gravidanza e portatori di infezioni croniche come epatite virale e tubercolosi latente. L’opportunità di avere delle linee guida nazionali deriva anche dal fatto che i criteri di rimborsabilità dei vari farmaci possono variare nei singoli Paesi.
Come è cambiata la terapia?
I trattamenti per via topica sono sempre la prima scelta nelle forme di psoriasi lieve. Nella psoriasi cronica a placche, però, l’aderenza ai trattamenti locali è spesso scarsa. A complemento dei topici, disponiamo dei trattamenti sistemici che includono acitretina, methotrexate, ciclosporina e fototerapia. Negli ultimi, però, con l’arrivo sul mercato dei farmaci biologici, il trattamento della psoriasi è radicalmente cambiato.
Questi prodotti, anticorpi diretti contro mediatori dell’infiammazione come le interleuchine o il TNF-α, oltre ad essere molto efficaci, hanno anche un buon profilo di sicurezza e consentono di proseguire le terapie a lungo termine. Il principale effetto collaterale riguarda il maggiore rischio d’infezioni, un evento comunque raro.
Nonostante tutte queste possibilità terapeutiche, però, è stato riportato un sottoutilizzo dei farmaci per la psoriasi per via sistemica, sia quelli tradizionali che i biologici. Secondo i dati di una survey internazionale, tra tutti i pazienti che avrebbero indicazione per una terapia per via sistemica, solo un terzo riceverebbe il trattamento adeguato. I motivi di questo sono molteplici e includono anche il timore che alcuni pazienti hanno verso i farmaci in generale.
Come si misura la ‘gravità’ della psoriasi?
Nel valutare la gravità della malattia ci sono diversi indici. I più usati sono il PASI (Psoriasis Area Severity Index), che valuta le lesioni in base alla loro estensione e alle caratteristiche di eritema, infiltrazione e desquamazione, il Body Surface Area (BSA), che misura la percentuale di cute coinvolta dalla psoriasi, e il Physician Global Assessment, una valutazione descrittiva eseguita dal medico.
Accanto a questi, però, negli ultimi anni i dermatologi hanno sentito il bisogno di valutare anche la qualità della vita del paziente, per cui sono stati validati dei questionari specifici. Sebbene convenzionalmente venga definita ‘grave’ una psoriasi con BSA superiore al 10%, se coinvolge le aree ‘sensibili’, ovvero volto, mani o genitali, anche un BSA inferiore potrebbe richiedere un trattamento sistemico.
Inoltre, se un paziente con psoriasi ha problemi di depressione, disturbi d’ansia o del sonno correlabili con la malattia, ha comunque un impatto importante sulla sua qualità della vita.
Quali pazienti hanno bisogno di maggiori attenzioni?
Sappiamo bene che i trials clinici prendono in considerazione pazienti ‘ideali’ che generalmente sono giovani adulti che non hanno comorbidità. Nella pratica clinica, però, la situazione è più complessa. I malati possono essere bambini, sui quali si eseguono pochi studi clinici, o anziani, che spesso hanno altre patologie e assumono molti farmaci che possono avere interazioni farmacologiche. Altri gruppi che meritano attenzione sono le donne in gravidanza, i pazienti oncologici o con infezioni da HIV o da epatite B o C, che normalmente sono esclusi dagli studi clinici.
Per il dermatologo, gestire queste situazioni è dunque più complesso. Con le linee guida abbiamo voluto fornire delle raccomandazioni per ‘guidare’ lo specialista anche nell’affrontare queste situazioni.
Sono le prime linee guida disponibili o aggiornano pubblicazioni precedenti?
Queste sono le prime linee guida italiane sul trattamento della psoriasi basate sulla metodologia DELPHI e su una revisione sistematica della letteratura. Alla loro stesura hanno contribuito esperti riconosciuti a livello internazionale e provenienti da tutta Italia, che hanno elaborato il testo seguendo il metodo DELPHI, usato proprio per ottenere il consenso tra esperti quando ci sono evidenze insufficienti o contraddittorie su un determinato argomento.
Queste linee guida danno indicazioni per gestire situazioni cliniche pratiche. Infine, sono state prodotte raccomandazioni per secukinumab e apremilast, che non sono inclusi nell’ultima versione delle linee guida europee. In ogni caso le linee guida non vogliono sostituirsi all’esperienza e alle capacità dello specialista, ma fornirgli un supporto.
Pensate di affrontare altre patologie dermatologiche?
Stiamo preparando documento di consenso sul ruolo del dermatologo nella gestione dell’artropatia psoriasica. Per questa patologia, il dermatologo può avere un ruolo importante nella diagnosi precoce, scegliendo opportuni esami e analisi di imaging come la ecografia articolare. Grazie alla collaborazione con i reumatologi, puntiamo ad avere anche per questa patologia delle linee guida che aiutino a valutare i primi sintomi di artropatia psoriasica, per avviare il prima possibile i pazienti alle opportune cure.