Il 3% dei bambini ha una disabilità mentale, ma il 50% di questi non ha una diagnosi. Possono andare da disturbi cognitivi a ritardi nello sviluppo e a causarli sono spesso mutazioni genetiche non presenti nei genitori e che quindi si sviluppano ex novo dopo il concepimento. Una ricerca pubblicata su Nature ha però identificato 14 geni che potrebbero essere responsabili di rari disturbi dello sviluppo dell’infanzia.
Lo studio
Circa 200 genetisti del Regno Unito hanno sequenziato l’esoma – ovvero quel 2% del genoma definito ‘codificante’ perché contiene le istruzioni per fabbricare le proteine – appartenente a 4.293 famiglie con un figlio affetto da un grave disturbo dello sviluppo di cui non era nota la causa. Lo studio, condotto da ricercatori del Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, si è concentrato sulle mutazioni de novo, ovvero spontanee e non presenti nel Dna dei genitori, ma che appaiono per la prima volta nel figlio. Hanno così individuato 14 geni che non erano stati precedentemente associati a disturbi dello sviluppo e interessati da mutazioni spontanee.
“C’è un alto tasso di mutazione che grava sul concepimento – commenta Bruna Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – Una coppia di genitori normali trasmette in media 70 nuove mutazioni, che vanno a distribuirsi in varie parti del genoma. Se vanno nel dna codificante possono avere effetti che in alcuni casi responsabili di malattie”.
Nel complesso, concludono i ricercatori, un bimbo su 300 aveva disturbi dello sviluppo dovuti a mutazioni de novo, ovvero rapportato alla popolazione del Regno Unito, sarebbe pari a 2.000 bambini l’anno, circa 400mila nel mondo. In particolare la prevalenza media delle mutazioni genetiche cresceva in proporzione all’età dei genitori, andando da uno su 213 bambini a uno su 448. “Mentre l’età materna ha effetto sulle patologie cromosomiche, a influire in questo caso – precisa Dallapiccola – è soprattutto l’età del padre”.
Per cercare di individuare queste mutazioni genetiche, si sta facendo in questi anni un enorme lavoro anche in Italia. “Con le attuali tecniche – sottolinea Dallapiccola, massimo esperto in materia – riusciamo già a individuare la causa di una malattie rara senza diagnosi in circa il 40% dei casi. Dare un nome alla patologia è importantissimo. Anche se spesso questo non si traduce subito in una soluzione farmacologica, saperlo può fornire informazioni alla famiglia sul rischio di ricorrenza in una successiva gravidanza”.
Oltre ad aiutare i medici a gestire meglio le condizioni del bambino, commenta Matthew Hurles autore principale dello studio, “trovare una diagnosi esatta può essere un enorme sollievo per i genitori, perché permette loro di collegarsi con altre famiglie con lo stesso disturbo e partecipare a progetti di ricerca specifici”.