Le nuove applicazioni tecnologiche, dai robot alle semplici app, potrebbero aiutare bambini e ragazzi con disturbi dello spettro autistico ad interagire con gli altri e con il mondo che li circonda. Ad affermarlo è Kevin Pelphrey della George Washington University, in un articolo pubblicato su Scientific American.
Tra le app l’esperto cita Sit With Us, inventata da una ragazza di 16 anni, che aiuta i bambini vulnerabili a trovare qualcuno con cui sedersi a tavola in mensa. “Il motto della app, ‘il primo passo per una comunità più inclusiva inizia a pranzo’, è fonte di ispirazione”, spiega Pelphrey. Diversi sono i tentativi di utilizzare i robot per insegnare, e incoraggiare i bambini autistici ad interagire. “I miei colleghi e io alla George Washington University ad esempio stiamo invitando circa due dozzine di bambini con autismo a comunicare con robot umanoidi che registrano le loro azioni e rispondono in un modo tale da rinforzare l’apprendimento sociale – scrive l’esperto che ha una figlia con autismo – Il robot usa gesti personalizzati e suggerimenti vocali per fornire interazioni gratificanti. I risultati preliminari mostrano che l’interazione suscita una cascata di segnali a supporto degli scambi sociali”.
I robot possono essere utili anche a calibrare le reazioni dei bambini, che spesso reagiscono in modo ansioso a stimoli come suoni forti o luci troppo intense, mentre altre applicazioni, si legge in un articolo su Robotic trends, li vedono come veri e propri ‘insegnanti’, sia perché hanno reazioni prevedibili e quindi più accettate sia perché gli esercizi previsti per i bambini con autismo sono ripetitivi, e quindi più facili da far svolgere a una macchina. Persino un videogame, sviluppato dalla Ong americana Autism Speaks e chiamato Evo, potrebbe aiutare a migliorare le funzioni motorie, e sono in corso i test clinici per una possibile approvazione da parte della Food and Drug Administration.
Tutte queste tecniche, sottolinea Pelphrey, sono supportate da neuroimaging, dai test sul cervello sempre più in grado di capire i meccanismi cerebrali alla base delle difficoltà. “Queste tecnologie ci hanno mostrato, ad esempio, che l’esclusione sociale colpisce sia gli adolescenti con autismo che quelli che non lo hanno, ma per ragioni diverse – spiega Pelphrey – Il teenager tipico mostra un’attività robusta nelle regioni coinvolte nel ragionamento sociale e che regolano le emozioni negative, mentre gli esami nei ragazzi autistici mostrano il coinvolgimento di strutture che tengono traccia delle violazioni delle regole. Questo ci aiuta a comprendere come aiutare tutti i soggetti, perché un adolescente ‘neurotipico’ potrebbe avere giovamento nel capire perché le altre persone possono ferire i suoi sentimenti, mentre per uno autistico andrà meglio spiegare l’importanza delle regole e perché gli altri qualche volta le infrangono”.