Dopo gli incidenti stradali, il suicidio è la seconda causa di morte fra i giovani di età compresa tra i 10 e i 25 anni. Colpa forse la società, il cambiamento tipico dell’età o la scarsa fiducia in sé stessi, ma “raramente il suicidio è la risposta ad un episodio estemporaneo, ma piuttosto un percorso, il risultato finale di uno stato di malessere importante”, spiega Stefano Vicari, responsabile di neuropsichiatria infantile
dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Quanto duri questo percorso è difficile stabilirlo, ma si parla di mesi non di giorni”, prosegue.
“La depressione – aggiunge Vicari – è tra le cause principali che possono portare al suicidio e va rilevato che inizia proprio nell’età evolutiva. Si stima infatti che soffra di depressione l’8% degli adolescenti. Ma possono esservi altri fenomeni, legati a reazioni impulsive rispetto a un diniego o a situazioni conflittuali. Quello dell’adolescenza – osserva – è un periodo critico, nel quale avvengono cambiamenti anche a livello neurobiologico, il cervello è in forte maturazione fino all’età adulta, l’ambiente può influire fortemente, e anche l’eventuale uso di sostanze come i cannabinoidi”.
“In adolescenza – precisa Rosanna Martin psicoterapeuta della psicologia ospedaliera pediatrica del Meyer di Firenze – c’è una ‘fatica psichica’, un ‘io affaticato’, che deve modificare i riferimenti da bambino piccolo. Un tentato suicidio di un ragazzo vuol dire che sta affrontando l’adolescenza in maniera critica, è un fallimento della fase cosiddetta di ‘separazione-individuazione’ che porta alla costruzione dell’identità”.
“Tutte le frustrazioni che arrivano dal mondo esterno possono provocare ferite: delusioni per i voti scolastici, rifiuti di coetanei o fidanzati, separazioni in famiglia. Queste ultime in particolare sono un argomento a sé. Si tratta di traumi e come tutti i traumi, bisogna vedere a che punto avvengono di ‘rimaneggiamento psichico’, se un ragazzo ha già fragilità eccessiva. In alcuni casi possono essere la goccia che fa traboccare il vaso”.
Dagli esperti arrivano dei consigli per i genitori. Primo fra tutti quello di osservare “le difficoltà a gestire i comportamenti dei propri figli. Se si chiudono, non frequentano più gli amici, oppure sono aggressivi, violenti o irritabili”, conclude Vicari.