Olio di palma, una pagina tutta da riscrivere. A partire dai messaggi fin ora veicolati dalle campagne mediatiche che hanno favorito una percezione negativa su questo alimento portandolo inevitabilmente a demonizzarlo. Per capire bene cos’è questo olio vegetale bisogna quindi cancellare i preconcetti e fare chiarezza partendo da un presupposto: l’olio di palma se assunto con moderazione da individui sani all’interno di una dieta bilanciata, non è nocivo per la salute dell’uomo. Anche perché non esiste un alimento perfetto, esiste una dieta equilibrata. Inoltre, a questo ingrediente non può essere attribuito nessun particolare effetto negativo sulla salute che sia scientificamente provato.
Grassi saturi & olio di palma: accendiamo una luce. Da un punto di vista strettamente scientifico, l’olio di palma è salito sul banco degli imputati per il suo contenuto di acidi grassi saturi a loro volta colpevoli di aumentare i rischi di malattie cardiovascolari. Ma le ultime ricerche scientifiche hanno messo in discussione questa associazione tra grassi saturi e malattie cardiovascolari arrivando addirittura a negarla.
Andiamo per ordine. I grassi, oltre a fornire calorie, 9 kcal/g, non sono da criminalizzare, sono infatti indispensabili per l’assunzione di vitamine liposolubili, per la struttura delle cellule e della membrana cellulare e per la sintesi ormonale. I Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e energia (Larn) ne raccomandano infatti un apporto totale giornaliero compreso tra il 20% e il 35%, ripartiti tra acidi grassi saturi e monoinsaturi (rispettivamente fino al 10% dell’apporto calorico totale) e acidi grassi polinsaturi (circa il 10% con un rapporto di 4:1 tra omega 6 e omega 3).
Da sottolineare che, a differenza degli altri olii comunemente utilizzati nell’industria alimentare, l’olio di palma è l’unico ad avere un contenuto bilanciato tra acidi grassi saturi e insaturi. Il 50% è costituito da acidi grassi saturi, di cui il 43% circa è rappresentato dall’acido palmitico; questo acido grasso rappresenta anche il 25% dei grassi presenti nel latte materno. Il restante 50% è rappresentato da grassi insaturi, di cui circa il 40% è acido oleico (tipico dell’olio di oliva) e il 10% è acido linoleico.
L’associazione tra grassi saturi e malattie cardiovascolari nasce da una serie di studi osservazionali iniziati prima degli anni 50 dal ricercatore americano Ancel Keys. Il più famoso di questi studi, conosciuto come “Seven Country Study”, aveva mostrato una relazione diretta tra assunzione di grassi totali, in particolare grassi saturi, e la mortalità per malattie cardiovascolari. Da questi studi derivò la cosiddetta “ipotesi lipidica” che affermava che una dieta ricca di acidi grassi saturi portava a livelli di colesterolemia elevati e ad un incremento di rischio di mortalità per malattie cardiovascolari. Anche se gli studi di Ancel Keys erano stati criticati dai ricercatori di quel periodo, hanno avuto una profonda influenza sulle attività di ricerca e sulle politiche alimentari successive.
“A partire dalla fine degli anni 70, la riduzione dei grassi totali e dei grassi saturi in particolare – ha spiegato Elena Fattore, Ricercatrice del dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano – è diventato l’obiettivo principale delle raccomandazioni nutrizionali finalizzate alla riduzione della morbilità e la mortalità correlata a malattie cardiovascolari. Conseguenza delle raccomandazioni sulla riduzione degli acidi grassi saturi presenti soprattutto nei grassi animali, è stata l’introduzione nei prodotti alimentari degli acidi grassi trans, derivanti dal processo di idrogenazione degli oli vegetali. Attualmente, sia l’evidenza scientifica esistente al tempo della promulgazione di tali linee guida, che l’evidenza derivante da studi più recenti, sulla relazione tra consumo di acidi grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari è stata messa in discussione. In nessuno degli studi recenti, infatti, è stata confermata relazione causale, mentre è emerso che studi che all’epoca non confermavano la teoria lipidica non erano stati pubblicati, condizionando inevitabilmente sia la ricerca nel settore sia le linee guida nutrizionali che vennero rilasciate successivamente”.
Invece, ricorda poi Elena Fattore: “Gli studi più recenti sembrano confermare la pericolosità degli acidi grassi trans”. Dato questo contesto è evidente che la campagna denigratoria sull’olio di palma, basata fondamentalmente sul fatto che questo olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri oli vegetali non ha alcun riscontro nell’evidenza scientifica. Anzi bisognerebbe considerare il fatto che l’utilizzo di questo olio al posto degli acidi grassi trans ha portato ad un miglioramento in termini di salute”.
Anche dall’Istituto Superiore di sanità è arrivato il semaforo verde all’olio di palma. In un recente parere ha affermato che non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l’olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/polinsaturi. Certo, avverte l’Iss, è tuttavia di fondamentale importanza consumare una dieta varia ed equilibrata, in modo da assumere i vari nutrienti nelle quantità raccomandate in base alla propria età, statura, peso, sesso e livello di attività fisica. Insomma, nessun ingrediente è buono o cattivo, tutto va inquadrato in un’analisi totale degli stili di vita e di una dieta equilibrata.
Contaminanti termici e rischio oncologico. Recentemente una nuova fonte di critiche all’uso dell’olio di palma ha preso spunto dalla presenza di contaminanti termici (conosciuti come (2MCPD, 3MCPD, GE) nei grassi e negli oli vegetali dopo raffinazione. Nonostante l’olio di palma contenga naturalmente una quantità di precursori di questi contaminanti maggiore rispetto agli altri olii o grassi, è stato tuttavia dimostrato che non è la materia prima in sé che ineluttabilmente li sviluppa, ma che, i fattori condizionati l’evenienza di questi contaminanti, sono la qualità dei processi industriali e la cura della selezione della materia prima. I contaminanti, infatti, si generano quando i tempi tra la raccolta dei frutti e la spremitura si allungano. Ma soprattutto si producono in quantità rilevanti se il processo di trasformazione alimentare è realizzato ad alte temperature (oltre i 200°C). Inoltre, secondo uno studio italiano pubblicato dall’Istituto Marion Negri, non esistono evidenze scientifiche che correlino il consumo di olio di palma all’insorgenza di tumori.
Quindi, a fare la differenza è la qualità della materia prima e dei processi di lavorazione. Proprio sulla qualità ha puntato la Ferrero, l’industria dolciaria di Alba. Un marchio interamente italiano che da 70 anni propone prodotti famosi in tutto il mondo, dalla Nutella ai Rocher, che non ha escluso dai suoi prodotti l’olio di palma. Perché, come è stato recentemente sottolineato nel corso di una conferenza stampa a Milano organizzata proprio su questo alimento: “Quella di utilizzare olio di palma è una scelta responsabile, basata sulla scienza e sulla qualità, la forma più pura di rispetto nei confronti del consumatore”.
L’olio di palma di Ferrero è lavorato fresco con processi e lavorazioni effettuate a temperature controllate e più basse possibili. È processato internamente nello stabilimento di Alba oppure da fornitori esterni con una lavorazione ad hoc nel massimo rispetto dei capitolati produttivi definiti. Soprattutto, presenta, livelli di contaminanti significativamente più bassi di quelli dell’olio di palma normalmente disponibile sul mercato, e anche inferiori a quelli presenti negli altri olii vegetali trattati correttamente e compatibili con le nuove raccomandazioni dell’Efsa (l’Agenzia Europea per la Sicurezza degli Alimenti).
Fatti e non solo parole, da un test recentemente effettuato dalla Fondazione tedesca indipendente Stiftung Warentes su 21 creme spalmabili alla nocciola è emerso che Nutella era quella di gran lunga più sicura (fino a decine di volte in più), anche di numerosi prodotti che utilizzano altri olii. vegetali come ad esempio l’olio di girasole.
Va bene discuterne, ma questo è un articolo sponsorizzato sotto mentite spoglie. Manca un paragrafo: il maggior vantaggio nell’uso dell’olio di palma è per la Ferrero, perché costa poco e aumenta il margine di profitto. E manca anche un altro paragrafo: i produttori stanno sterminando gli oranghi e distruggendo le foreste tropicali per piantare palma da olio, sopratutto per il mercato cinese. Ha senso? E’ giustificabile?