Un team della Tufts University (USA) e dell’Università di Oxford ha scoperto che i virus latenti presenti nel cervello, se attivati da eventi traumatici come una commozione cerebrale, possono favorire l’insorgenza di patologie come l’encefalopatia traumatica cronica, la malattia di Alzheimer o il Parkinson. In particolare, i virus attivati dall’evento traumatico promuoverebbero infiammazione e causerebbero danni che possono verificarsi mesi o anni dopo.
Il microbioma umano comprende decine di virus, alcuni dei quali possono essere dannosi, pur restando dormienti nelle cellule. È noto, per esempio, che l’Herpes simplex virus 1 (HSV-1) e il virus varicella-zoster raggiungono il cervello e vi restano latenti. Studi precedenti – condotti dallo stesso team- hanno dimostrato che l’attivazione del virus HSV-1 innesca sintomi distintivi della malattia di Alzheimer sul tessuto cerebrale coltivato in laboratorio, quali placche amiloidi, perdita di neuroni, infiammazione e ridotta funzionalità della rete neurale.
Lo studio attuale
I ricercatori della Tufts University e dell’Università di Oxford hanno utilizzato un modello di laboratorio che ricostruisce l’ambiente complesso del cervello, con l’obiettivo di comprendere meglio come gli episodi di commozione cerebrale riescano a innescare le prime fasi di riattivazione del virus e il processo neurodegenerativo.
Dopo aver indotto un trauma a livello del tessuto, che comprendeva o meno virus HSV-1 nei neuroni, i ricercatori hanno osservato al microscopio che le cellule infette mostravano una riattivazione del virus e, poco dopo, i marcatori distintivi della malattia di Alzheimer.
Ulteriori colpi, inoltre, che imitavano ripetuti traumi cranici, portavano alle stesse reazioni, in forma sempre più grave. Di contro, le cellule senza HSV-1 non mostravano un aumento dei marcatori della malattia di Alzheimer, a eccezione della proliferazione delle cellule gliali. “Questo modello tissutale aiuterà a mettere le informazioni epidemiologiche su una base meccanicistica e a fornire un punto di partenza per testare nuovi farmaci”, spiega David Kaplan, autore senior della ricerca.
Fonte: Science Signaling 2025