Amiloidosi cardiaca: l’importanza della diagnosi precoce

L’amiloidosi cardiaca, una patologia caratterizzata dall’accumulo anomalo di proteine amiloidi del tessuto cardiaco, se diagnosticata precocemente può essere tenuta sotto controllo: i trattamenti oggi a disposizione, infatti, sono in grado di rallentarne la progressione. È questo l’argomento della nuova puntata di Impact Factor, intitolata “Amiloidosi cardiaca: diagnosi differenziale e gestione multidisciplinare”, affrontato con il professore Marco Canepa, docente dell’Università di Genova.

Questa patologia, responsabile di una progressiva disfunzione cardiaca, pur essendo considerata rara, risulta in aumento. “Sono essenzialmente due i motivi dell’incremento delle diagnosi – spiega il professor Canepa – . Da un lato, un utilizzo più ampio delle strumentazioni diagnostiche, come ad esempio la scintigrafia. Dall’altro, la possibilità di somministrare terapie in grado di rallentare la progressione dell’amiloidosi cardiaca e, di conseguenza, migliorare la qualità di vita dei pazienti che ne sono affetti”.

L’amiloidosi cardiaca può presentarsi con sintomi eterogenei che, nella maggior parte dei casi, si manifestano quando la patologia è già in uno stadio avanzato. Proprio per questo, è importante puntare sulla diagnosi precoce. “Il tempo è tutto – assicura il docente dell’Università di Genova -. Un ritardo diagnostico, anche di poche settimane, può addirittura impedire al paziente di accedere ad una terapia adeguata, causandogli, nei casi peggiori, complicanze letali”.

I sintomi della patologia, non solo possono emergere quando è ormai troppo tardi, ma anche laddove si manifestino, possono essere facilmente confusi con quelli di altre malattie, rendendo difficile una diagnosi differenziale. “La fatica a respirare è uno dei sintomi tipici dell’amiloidosi cardiaca, spesso presente anche in persone affette da scompenso cardiaco. Ancora, può essere riscontrato un aumento di spessore del cuore (ipertrofia cardiaca) la cui causa, tuttavia, può essere chiarita attraverso una risonanza magnetica. Anche la storia clinica del paziente – dall’ipertensione, al vizio del fumo, fino alla comparsa di diabete o ipercolesterolemia – può essere di estrema utilità per giungere ad una corretta analisi differenziale”, assicura lo specialista.

Attualmente non esiste una cura definitiva per l’amiloidosi cardiaca, ma ci sono comunque terapie che possono rallentarne la progressione e, quindi, migliorarne i sintomi. Ma attenzione: “Tanto più sarà precoce la somministrazione della terapia, tanto migliori saranno i risultati ottenuti”, sottolinea il professor Canepa.

C’è, infine, un terzo elemento che, insieme alla diagnosi precoce ed all’immediata somministrazione della terapia, può contribuire ad un miglioramento dello stato di salute della persona affetta da amiloidosi cardiaca: una gestione del paziente individualizzata ed interdisciplinare. “Ogni paziente è diverso e la malattia può aver compromesso i suoi organi in modo altrettanto diversificato – spiega lo specialista -. Per questo, la collaborazione tra ematologi, oncologi, nefrologi e cardiologi risulta fondamentale per accompagnare il paziente e – conclude il professor Canepa – per gestire tempestivamente le eventuali complicanze che possono svilupparsi lungo il percorso di cura”.

di Isabella Faggiano

Post correlati

Lascia un commento



SICS Srl | Partita IVA: 07639150965

Sede legale: Via Giacomo Peroni, 400 - 00131 Roma
Sede operativa: Via della Stelletta, 23 - 00186 Roma

Popular Science Italia © 2024