(Reuters Health) – Invece di avere un monitor del cuore con rumorosi allarmi vicino ai letti dei pazienti in ospedale, potrebbe essere più utile disporre di tecnici esterni che monitorano l’organo da remoto. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato su JAMA.
“Il tradizionale monitoraggio in loco del cuore può implicare infatti molti falsi allarmi, che non sempre consentono di rilevare arresti cardiaci e altri eventi gravi”, spiega l’autore del lavoro David Cantillon, un ricercatore della Cleveland Clinic in Ohio. “Segni importanti di pericolo spesso si perdono in mezzo a un grande volume di falsi allarmi – aggiunge il ricercatore – In questo caso parliamo di alarm fatigue, che è stata associata a esiti avversi gravi, tra cui la morte di alcuni pazienti negli Stati Uniti”.
Lo studio
Come alternativa, Cantillon e colleghi hanno esaminato i risultati di più di 99 mila malati di cuore ricoverati presso la Cleveland Clinic e in tre ospedali regionali vicini e monitorati da remoto. Nessuno dei pazienti coinvolti era in condizioni critiche o sottoposto a terapia intensiva.
I tecnici, presso l’unità centrale remota, hanno monitorato fino a 48 pazienti insieme e allertato il personale ospedaliero ogni volta che gli allarmi suggerivano qualcosa che non andava.
Questi tecnici a distanza hanno fornito più di 410 mila notifiche nel corso del periodo di studio, durato 13 mesi. Di queste, circa la metà sono state correlate a problemi del ritmo cardiaco o della pressione sanguigna.
Le squadre di pronto intervento (ERTS) sono state attivate in circa 3.200 casi, incluse 980 volte in cui il ritmo cardiaco o le variazioni di pressione del sangue si sono verificate non più di un’ora prima.
La maggior parte di questi allarmi – il 79% – è stata rappresentata da descrizioni accurate delle situazioni in cui i pazienti avevano bisogno di aiuto urgente.
Inoltre, i tecnici da remoto hanno comunicato direttamente alle squadre di pronto intervento il peggioramento di 105 pazienti che avevano bisogno di un intervento immediato, incluso il preavviso di 27 arresti cardiopolmonari, tutti – tranne due – realizzati con esito positivo.
Il sistema di monitoraggio remoto è stato anche associato a una riduzione del numero totale di pazienti che necessitavano di stare sotto osservazione.
Nel complesso, il monitoraggio remoto non sembra aver portato ad arresti cardiaci maggiori. Se ne sono verificati 122 durante il periodo di studio e 126 nei precedenti 13 mesi.
I limiti dello studio
Le limitazioni dello studio includono il disegno osservazionale, il che rende impossibile determinare se il monitoraggio remoto provoca direttamente risultati specifici, come notano gli autori. Per dimostrare un beneficio, i ricercatori avrebbero bisogno di assegnare in modo casuale alcuni pazienti al monitoraggio in loco e altri a quello remoto, osserva Sumeet Chugh, direttore dell’Heart Rhythm Center al Cedars-Sinai di Los Angeles.
Ma i risultati suggeriscono ancora che i pazienti potrebbero trarre beneficio quando gli eventi pericolosi sono identificati e quando le squadre di emergenza sono attivate rapidamente, aggiunge Chugh, che non è stato coinvolto nello studio. “Nella maggior parte degli ospedali, un certo numero di letti sono dotati della capacità di monitorare il cuore e la respirazione del paziente in tempo reale. L’obiettivo è quello di rilevare precocemente eventuali segnali o anomalie, in modo che gli eventi critici come il cuore o l’arresto del polmone possano essere evitati o gestiti rapidamente”.
Fonte: JAMA 2016
Lisa Rapaport
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)