(Reuters Health) – I farmaci per abbassare i livelli di colesterolo della classe delle statine, in particolare la pravastatina, migliorerebbero il decorso della gravidanza nelle donne affette da sindrome da anticorpi antifosfolipi (APS – antiphospholipid syndrome), una condizione che può portare a trombosi e perdita del feto. A dimostrarlo uno studio inglese pubblicato dal Journal of Clinical Investigation.“Abbiamo dimostrato che uno dei farmaci più usati degli ultimi 30 anni per prevenire malattie dell’apparato cardiocircolatorio aiuterebbe le donne con la sindrome antifosfolipidi a prevenire complicanze in gravidanza e avere così bambini sani”, ha dichiarato Guillermina Girardi, del King’s College di Londra, principale autrice dello studio. “E questa terapia potrebbe aiutare anche le donne che sviluppano preclampsia senza anticorpi antifosfolipidi”, ha sottolineato la studiosa.
Le donne affette da APS hanno una maggiore incidenza di gravidanze con esiti anomali. Attualmente, il trattamento di prima scelta per queste donne è la terapia antitrombotica a base di basse dosi di aspirina ed eparina a basso peso molecolare. Tuttavia, molte di queste donne non riescono a portare a termine con successo la gravidanza.Nel 20% delle donne gravide, l’associazione di aspirina ed eparina non previene le complicazioni associate ad insufficienza placentare, come la preclampsia e la ridotta crescita intrauterina del feto. Su un modello animale, invece, la pravastatina sarebbe stata in grado di aiutare nel portare a termine con successo la gravidanza, presumibilmente per un’alterazione positiva a livello dell’endotelio.
Lo studio
Per approfondire questo dato preliminare, Girardi e colleghi hanno studiato 21 donne in gravidanza affette da APS che avevano sviluppato preclampsia e/o avevano una ridotta crescita intrauterina fetale, nonostante il trattamento con aspirina ed eparina. Di queste donne, 10 hanno proseguito con la terapia standard, il gruppo di controllo, mentre le restanti 11 sono state trattate con pravastatina (20 mg) ai primi segnali di preclampsia o ridotta crescita fetale. I parametri presi in considerazione per valutare l’efficacia di questa terapia sono stati il flusso sanguigno a livello di utero e placenta, la progressione della preclampsia (ipertensione e proteinuria) e il successo fetale e neonatale.
Tutte le donne del gruppo di controllo hanno subito un taglio cesareo d’urgenza a una media di 26,5 settimane di gestazione, per problemi di salute materni o fetali. Tutti i nati prematuri sono stati ricoverati in terapia intensiva neonatale e tre sono deceduti.
I risultati
Aggiungendo pravastatina alla terapia, invece, il flusso sanguigno a livello placentare e i sintomi di preclampsia sarebbero migliorati in modo significativo e la gravidanza si sarebbe prolungata, con nascite che si sono registrate quasi al termine (36 settimane in media), “evitando complicanze associate alla nascita prematura”, ha spiegato Girardi. Nel gruppo di madri trattate con pravastatina “tutti i bambini sono nati vivi e in salute e hanno mostrato uno sviluppo normale, aggiungendo evidenze che le statine sono sicure in gravidanza”, ha evidenziato la ricercatrice inglese.
Secondo Girardi, la pravastatina sarebbe stata scelta tra le altre statine sulla base della sua natura idrofila e della bassa concentrazione che raggiungerebbe il feto. “Recenti studi dimostrano questo dato, evidenziando che il passaggio della pravastatina attraverso la placenta sarebbe limitato. I dati epidemiologici raccolti dimostrano dunque che le statine non sarebbero teratogene”, rassicura Girardi.
Gli stessi autori sottolineano, comunque, che è necessario un trial clinico randomizzato per confermare questi risultati preliminari. Una sperimentazione che è in fase di organizzazione.
Fonte: J Clin Invest 2016
Megan Brooks
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)