(Reuters Health) – Con sette milioni di persone infette dal virus dell’HIV, il 19% della popolazione adulta, il Sudafrica è uno dei Paesi più colpiti dall’AIDS. Nonostante la politica ostruzionista verso l’utilizzo dei farmaci antiretrovirali, portata avanti dall’ex presidente, oggi lo stato africano offre uno dei programmi di trattamento contro l’infezione più attivi al mondo e si prepara ad ospitare la Conferenza mondiale sull’AIDS che si terrà a Durban, dal 18 al 22 luglio, con uno scenario completamente diverso rispetto a sedici anni fa, l’ultima volta in cui si tenne in questo Paese.
Una nuova politica sanitaria
L’allora Presidente del Sud Africa, Thabo Mbeki, dichiarò pubblicamente che non c’era legame tra l’infezione da HIV e AIDS, resistendo alle pressioni internazionali per risolvere l’epidemia e arrivando ad affermare che una delle cause dell’AIDS era la povertà. “I pazienti morivano come mosche – ha dichiarato Jean Bassett, fondatore della Witkoppen Clinic di Johannesburg, nel 1996 –. I malati venivano trattati con medicinali blandi e vitamine; non avevamo niente a disposizione”. Patience Ndlovu è stata una delle poche malate a ricevere terapie adeguate. Con una diagnosi di infezione da HIV nel 2002, all’inizio fu trattata solo con delle vitamine. I livelli di CD4, una misura di come l’organismo sta rispondendo all’infezione, erano sotto 200, il che significava che la malattia stava progredendo ad AIDS.
Nel 2004, quando il governo di Mbeki ha cominciato i trattamenti sui pazienti più gravi, Ndlovu ha cominciato la cura con gli antiretrovirali. Da allora ha recuperato. Ma molti sudafricani non sono stati così fortunati. Secondo uno studio del 2008 della Harvard University, l’ostruzionismo di Mbeki avrebbe causato almeno 330mila morti inutili nella prima metà dello scorso decennio.
Con la deposizione di Mbeki, nel 2008, le cose sono cambiate. Al Ministero della Salute è arrivato Aaron Motsoaledi e oggi più di tre milioni di malati hanno accesso alle terapie antiretrovirali, anche se il Sudafrica paga ancora un prezzo alto, a livello socio-economico, per non aver fatto fronte subito alla diffusione della malattia.
Fonte: Reuters
Pete Vernon
(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)
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