Interferenze farmacologiche nella terapia dell’ipotiroidismo con LT4: il parere del farmacologo

I disturbi della tiroide sono ampiamente diffusi nella popolazione italiana ed è per questo che, per la loro corretta gestione, è importante che si crei un’alleanza tra il paziente, il medico di medicina generale, l’endocrinologo e il farmacista, in modo che eventuali criticità possano essere intercettate e affrontate al meglio. Questo è particolarmente vero nel caso delle possibili interazioni fra diversi prodotti che molti dei pazienti con ipotiroidismo devono assumere nel corso della loro giornata.

Nella terapia con levotiroxina il tema delle possibili interazioni farmacologiche è particolarmente rilevante, dato che gli effetti di queste interferenze possono essere ottimizzati grazie proprio alla collaborazione dei diversi attori coinvolti. Ne abbiamo parlato con il prof. Diego Fornasari, professore ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano, che nella prima di tre puntate di Health Conversation dedicate a questo tema ci ha illustrato meccanismi, situazioni tipo e possibili soluzioni di questo problema dalle differenti sfaccettature.

“Le interazioni farmacologiche si definiscono come interferenze non volute tra farmaci – ha spiegato – che possono portare come conseguenza da un lato un’amplificazione degli effetti avversi che ogni farmaco possiede, oppure in altri casi il fallimento terapeutico di uno dei due farmaci in questione. Normalmente, infatti, quando parliamo di interazioni farmacologiche intendiamo dire che due farmaci sono somministrati nello stesso periodo di tempo e, semplificando molto, interferiscono tra di loro, con uno che svolge il ruolo del killer e l’altro che svolge il ruolo della vittima. Come il killer può interferire sulle risposte farmacologiche della vittima? Sostanzialmente interferendo o con i suoi aspetti farmacocinetici o con i suoi aspetti farmacodinamici”.

Particolare attenzione va posta nei confronti di quei farmaci “con una ridotta finestra terapeutica, quelli che gli organismi regolatori chiamano NDA (Narrow Therapeutic Index Drugs): con questi medicinali lo spazio esistente tra la comparsa di reazioni avverse, oppure il fallimento terapeutico, è molto ristretto, quindi piccole variazioni di concentrazione del farmaco possono produrre o una reazione avversa o un fallimento terapeutico. Dunque le interazioni farmacologiche diventano molto rilevanti, perché anche spostando di poco la concentrazione del farmaco vittima, possono produrre degli effetti molto importanti sul piano clinico. Ebbene, la levotiroxina è un farmaco con una ridotta finestra terapeutica e quindi è particolarmente sensibile a possibili variazioni della sua concentrazione. Questa molecola non si sottrae, come tutti gli altri farmaci ad avere interazioni farmacologiche con alcuni farmaci a livello di assorbimento, di distribuzione, di metabolismo e di eliminazione. Faccio un esempio noto: un anticoagulante orale che è il warfarin e la levotiroxina possono interferire l’uno con l’altro perché tutti e due si legano molto alle proteine plasmatiche attraverso il quale il farmaco circola per il nostro organismo e quindi si possono spiazzare l’una con l’altra. Questo è un esempio di interferenza in termini di distribuzione. Inoltre, la levotiroxina è molto sensibile per quanto riguarda l’assorbimento a livello intestinale”.

Ma quali possono essere le conseguenze cliniche di queste interazioni farmacologiche? Spiega il farmacologo: “Le conseguenze cliniche sono tutte in termini di fallimento terapeutico nel momento in cui noi non assorbiamo o comunque non abbiamo la giusta concentrazione di levotiroxina in circolo. Quindi sostanzialmente il paziente non va a target terapeutico, non riesce a correggere completamente il proprio ipotiroidismo e questo spesso si evince anche banalmente quando si fa la misurazione del TSH. Una situazione ovviamente molto seria perché chiaramente non stiamo facendo la terapia corretta”.

Quali soluzioni possono essere intraprese per minimizzare il rischio di fallimento della terapia? “Abbiamo detto che il pH acido è importante perché la levotiroxina deve essere correttamente e completamente dissolta dalla compressa e deve essere perfettamente solubilizzata per poter essere poi assorbita. Detta così è come la scoperta dell’acqua calda, ma è evidente che se io miglioro a priori la dissoluzione, la solubilizzazione della levotiroxina, ovviamente miglioro molto le condizioni di assorbimento, anche talvolta in situazioni in cui magari il pH non è perfetto. Quindi ho bisogno di formulazioni diverse, che oggi sono disponibili e che migliorano l’assorbimento lavorando sulla dissoluzione e la solubilizzazione. Il che non significa che a questo punto possiamo fare tutto quello che vogliamo con gli alimenti o con gli altri farmaci, ma significa che siamo andati incontro al fatto che è un farmaco con una ridotta finestra terapeutica, gli abbiamo dato più spazio e quindi è molto verosimile che se anche l’interazione dovesse avvenire, avrebbe un impatto decisamente ridotto sull’outcome clinico”.

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