Utilizzando un nuovo strumento analitico per misurare le microplastiche – un processo di centrifugazione effettuato dopo aver trattato chimicamente i campioni raccolti – un team dell’Università del New Mexico, guidato da Matthew Campen, ha identificato questi composti in tutti i frammenti di placenta umana analizzata, 62, con concentrazioni che andavano dai 6,5 ai 790 microgrammi per grammo di tessuto. I risultati dello studio sono stati pubblicati da Toxicological Sciences.
Il team ha studiato tessuto placentare donato. Dall’analisi è emerso che il polimero più diffuso nel tessuto placentare era il polietilene, usato per produrre sacchetti e bottiglie di plastica, che rappresentava il 54% della plastica individuata. Il cloruro di polivinile, o PVC, e il nylon, invece, rappresentavano ciascuno il 10% del totale, mentre il resto era costituito da altri nove polimeri.
Anche se lo studio è di piccole dimensioni, l’autore principale, Matthew Campen, lancia un ulteriore allarme per i riflessi sulla salute, considerando anche che i volumi di microplastiche nell’ambiente sono in costante aumento. “Le microplastiche che vediamo nell’ambiente oggi hanno probabilmente 40 o 50 anni – afferma il ricercatore – Sebbene queste sostanze siano già presenti nel nostro corpo, non è ancora chiaro quali effetti abbiano o potranno avere sulla salute. La loro presenza nella placenta, però, è un dato particolarmente preoccupante, perché si tratta di un organo ‘giovane’ che inizia a formarsi circa un mese dopo l’inizio della gravidanza. Per concentrarsi negli altri organi le microplastiche impiegano tempi più lunghi”.
Fonte: Toxicological Sciences 2024