(Reuters Health) – Mentre migliorano l’efficacia nel combattere la leucemia mieloide cronica, aumentando l’indice noto come risposta molecolare maggiore, a un anno di distanza dall’inizio del trattamento dei pazienti, gli inibitori della tirosin-chinasi di ultima generazione non avrebbero effetti nell’allungare la sopravvivenza dei malati. Ad affermarlo è uno studio pubblicato su JAMA Onlcology e condotto da Jonathan Douxfils della Università di Namur, in Belgio.“Desatinib, nilotinib e ponatinib sono associati a un aumento degli eventi di occlusione vascolare rispetto a imatinib, minore l’effetto, invece, di bosutinib – ha riferito Douxfils – Per questo raccomandiamo che il trattamento con questi nuovi inibitori della tirosin chinasi sia sempre associato a un monitoraggio cardiovascolare e a un controllo continuo delle comorbidità”. I ricercatori belgi hanno valutato il rischio di soffrire di occlusione vascolare nei pazienti con leucemia mieloide cronica trattati con gli inibitori della tirosin chinasi di nuova generazione, confrontando il dato con la terapia a base di imatinib. I dati sono stati estrapolati da 10 trials clinici randomizzati che hanno coinvolto, complessivamente, più di 3000 pazienti.
I risultati
L’occlusione vascolare è stata registrata nel 5,88% dei pazienti trattati con gli antitumorali di ultima generazione, contro l’1,04% degli eventi cardiovascolari in chi era stato trattato con imatinib. Dunque, un aumento significativo del rischio 3,45 volte più alto di incorrere in questo evento avverso in chi usa i nuovi agenti antitumorali. L’unico inibitore della tirosin chinasi di ultima generazione con effetto paragonabile ad imatinib è stato il bosutinib. Inoltre, nonostante la risposta molecolare maggiore sia aumentata di 2,22 volte con i farmaci di nuova generazione, la sopravvivenza non ha invece avuto un aumento significativo. Questo studio rafforza una precedente ricerca americana in cui sono stati analizzati gli eventi avversi registrati dal sistema di report dalla Food and Drug Administration (FDA) proprio sugli inibitori della tirosin chinasi. “Direi che questo studio enfatizza il bisogno di rafforzare il sistema di vigilanza degli eventi secondari seri conseguenti alla terapia con questi farmaci”, ha dichiarato Jorge Cortes, dell’Università del Texas di Houston. “Questo è importante – ha aggiunto – perché ciò che viene riportato nei trials clinici potrebbe non corrispondere a quello che succede nella pratica standard, dato che negli studi clinici c’è una selezione dei pazienti e la durata dei trials e del follow-up è limitata nel tempo”.
Secondo Jonathan Douxfils, “i medici dovrebbero considerare lo scopo del trattamento. Per esempio – ha spiegato – per i pazienti più anziani la terapia con imatinib resta la scelta ottimale dati i minori effetti sui vasi sanguigni, mentre per i pazienti che hanno un’aspettativa di vita maggiore di 10 anni, e nei quali lo scopo della terapia è che funzioni il più possibile per sospenderla quanto prima, allora sarebbero da preferire desatinib e nilotinib. Tuttavia la scelta di questi inibitori della tirosin chiansi di prima generazione dovrebbe essere preceduta da uno screening per i potenziali rischi e per valutare altre malattie concomitanti come diabete, precedenti eventi di occlusione vascolare o altri rischi che possano aumentare l’incidenza degli eventi avversi”.
Fonte: JAMA Oncology
Larry Hand
(Versione Quotidiano Sanità/Popular Science)