Giorgia Robaudo
Come è nata l’idea di realizzare questo progetto e a chi si rivolge?
Il cortometraggio “L’ospite” nasce dall’ascolto continuo del vissuto dei pazienti, dei bisogni e delle sfide che incontrano lungo il loro percorso. Dal confronto con AIL (Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma) è emerso come la malattia arrivi spesso all’improvviso nelle vite di chi riceve la diagnosi, sconvolgendola e gettando un’ombra minacciosa. Grazie alla preziosa collaborazione con AIL sono state raccolte le testimonianze di alcuni pazienti, che hanno guidato e ispirato il progetto, nei contenuti e nel linguaggio. Nasce così l’idea de “L’Ospite”, un cortometraggio che porta al cinema la storia di Fabio e Vittoria, affetti da Leucemia Mieloide Cronica, ma che si rivolge a tutte le persone che stanno affrontando la sfida della convivenza con la malattia, un ospite inatteso, ma con il quale si può imparare a convivere.
Potrebbe descriverlo brevemente?
“L’Ospite” è un cortometraggio basato sul vissuto reale di alcuni pazienti, che racconta attraverso il linguaggio del cinema cosa significa convivere con un tumore del sangue e, nello specifico, con la Leucemia Mieloide Cronica. La storia di Fabio e Vittoria, ambientata nel villaggio di Crespi d’Adda, sito Patrimonio UNESCO, affronta con delicatezza il tema della malattia, raccontando l’incontro dei pazienti con la patologia (“l’ospite inatteso”) e come imparare a convivere con essa, conoscendo meglio questo ospite. Attraverso la metafora dell’ombra, il corto aiuta il pubblico a comprendere i timori e le paure con cui i malati devono convivere ogni giorno, ma anche le speranze garantite dalla ricerca e dalle terapie, portando un messaggio di fiducia e sensibilizzazione. Il corto è stato realizzato dalla casa di produzione Brandon Box e presentato nell’ambito del Giffoni Film Festival e dell’80° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Che risultati avete o volete raggiungere?
Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di sensibilizzare la popolazione a una maggiore attenzione nei confronti dell’impatto che la diagnosi di una patologia ematologica può avere sui pazienti e sui loro cari, non solo a livello fisico ma anche psicologico. Tramite il linguaggio popolare del cinema abbiamo voluto aprire questa riflessione a un pubblico più ampio, con un’attenzione speciale alle nuove generazioni, da cui la collaborazione con Giffoni. Inoltre, il cortometraggio vuole essere uno strumento di supporto per tutti i pazienti che convivono con una diagnosi di malattia ematologica, aiutando la condivisione di esperienze, ed è pertanto stato utilizzato da AIL stessa nell’ambito degli incontri promossi dall’associazione.
Cosa pensa ci sia ancora da fare in questo ambito?
Credo che sia fondamentale continuare ad ascoltare i pazienti e i familiari delle persone che convivono con una patologia e collaborare con le Associazioni che li rappresentano, per promuovere iniziative, servizi e azioni capaci di rispondere realmente ai loro bisogni. Il dialogo e l’alleanza tra i diversi interlocutori del sistema salute è la chiave per produrre il cambiamento e migliorare giorno dopo giorno il percorso dei pazienti e il loro convivere con la malattia.
Qual è l’aspetto principale della Patient Advocacy Campaign che sarà più importante secondo lei nei prossimi anni?
Il sistema salute affronta oggi delle sfide complesse. È importante promuovere una crescente inclusione della prospettiva dei pazienti nella definizione e nell’implementazione delle politiche che riguardano la salute. Da questo punto di vista, il ruolo delle Associazioni di pazienti è cruciale ed è auspicabile che sempre più spesso – e soprattutto in maniera sempre più strutturata – siano coinvolte nei processi di policy making, promuovendo il confronto e lo scambio con i diversi attori del sistema.